Sarà quindi la Suprema Corte a dire l’ultima e decisiva parola sul destino di un ospedale che ha svolto per oltre trenta anni il proprio ruolo di unico presidio sanitario per le popolazioni dell’Alto Jonio, che è servito per intercettare la migrazione sanitaria passiva verso le regioni limitrofe e che, alla luce anche delle scelte successive operate dai vertici della sanità calabrese, forse aveva il solo torto di non avere alle spalle la necessaria salvaguardia politica. Un dato, questo, che ovviamente non deve essere stato valutato dai giudici del Tar che hanno fatto prevalere la “ragion di Stato” prendendo per oro colato le rassicurazioni offerte dalla Regione tramite l’avvocatura di Stato: la immediata realizzazione di un efficace servizio di emergenza-urgenza, garantito da servizi di pronto intervento tra cui una pista di eli-soccorso che avrebbero assicurato il rispetto della cosiddetta “golden hour” (il tempo previsto dalla legge in situazioni emergenziali); un adeguato potenziamento degli ospedali-spoke di riferimento e la realizzazione, in tempi brevi, del nuovo ospedale della Sibaritide con un sufficiente numero di posti-letto. Sono tutte cose, queste, di cui l’avvocato Mormandi già in prima istanza ha provato a dimostrare l’inesistenza assoluta. E sono queste le stesse ragioni, rafforzate dalle cronache che raccontano i numerosi casi di mala-sanità verificatesi nel corso di questo anno, che il legale del comune proverà a prospettare alla Suprema Corte per cercare di ottenere dalla Magistratura ordinaria il diritto a quel livello dignitoso di assistenza sanitaria che la politica finora, scientemente, non ha garantito.
Pino La Rocca