Il sacrificio di Cristo chiama i cristiani ad essere testimoni di fede e di speranza. A convertirsi ed a convertire al bene, ad impegnarsi per l’affermazione del bene comune. Ad essere, come Maria all’annuncio della Resurrezione, «partigiani dell’impossibile».
Prosegue monsignor Galantino, richiamando i credenti alla coerenza della loro missione terrena: «Chi a Pasqua canta l’Alleluja, deve sapere che finché le nostre celebrazioni non ci spingeranno a immettere parole e gesti di vita e germi prepotenti di speranza negli spazi che il buon Dio ci affida, le pratiche di morte e di sopraffazione avranno la meglio. E noi, pur cantando i nostri Alleluja, continueremo a contare vittime».
Segue la riflessione: «Credere che Gesù è risorto è avvertire il fastidio di tutto ciò che è morte e porta alla morte; credere che Gesù è risorto è non sopportare la puzza del sepolcro dell’arroganza e della sopraffazione; credere che Gesù è risorto è mettersi in movimento e spendersi per dare la vita, quella che viene da Gesù». Aggiunge il Presule: «La pietra rotolata via dal sepolcro è stata inizio di vita nuova per i primi amici e discepoli di Gesù perché loro, come Maria all’annunzio dell’angelo, hanno creduto che “a Dio nulla è impossibile”. E noi, credenti in Gesù risorto, siamo chiamati ad essere partigiani dell’impossibile; siamo chiamati a smettere di essere complici delle situazioni di morte».
Quindi, in coda, insieme agli auguri, l’invito all’azione, nel solco degli insegnamenti evangelici: «Quando la Resurrezione di Gesù è vissuta così, oltre ad essere un evento religioso diventerà un progetto nuovo e davvero sconvolgente per la storia. E noi stessi smetteremo di essere gli abusivi dell’allegria o gli allegri a intermittenza per essere uomini e donne credibili in forza delle loro scelte di vita; uomini e donne dei quali ci si può fidare perché spendono la loro vita per illuminare situazioni di tenebre con la luce che viene dal Signore Risorto».
v.l.c.