Una tragedia dai lati oscuri, divenuto un vero e proprio “giallo” a causa di numerose incongruenze. Secondo i due testimoni, Bergamini si trovava accanto alla sua macchina a bordo strada e si sarebbe lanciato sotto il camion al suo passaggio, che lo avrebbe dunque trascinato per alcune decine di metri uccidendolo. Così, nel 1989 il caso venne chiuso come suicidio, una tesi che non aveva convinto molti, in primis la famiglia del calciatore e i compagni di squadra che lo avevano descritto come “assolutamente sereno”. «Denis aveva solo un piccolo graffio sulla fronte – aveva svelato il papà Domizio. Ho guidato dei camion di quella portata: se uno ci finisce sotto viene maciullato. Non può essere andata come dite voi». Così come erano quasi intonsi i vestiti del ragazzo (le scarpe ancora ai piedi, i calzini tirati su, l’orologio integro). Inoltre, il corpo non era sporco di fango, nonostante la pioggia e le pozzanghere presenti sul luogo dell’incidente.
L’altra ipotesi sarebbe quella secondo cui il calciatore sarebbe stato ucciso in precedenza e poi lasciato in strada. Il caso venne riaperto nel 2011 con il procuratore Franco Giacomantonio e il sostituto Maria Grazia Anastasia, sulla base di una serie di nuove perizie che, nel 2013, portarono all’iscrizione della Ierinò e dell’autista nel registro degli indagati.
La richiesta, ora, di archiviare il caso suona come l’ennesimo colpo ai danni di Denis, un ragazzo che non è mai stato dimenticato. Proprio pochi mesi fa, lo scorso 21 settembre (tre giorni dopo la ricorrenza del suo 52esimo compleanno), a pochi passi dal punto in cui è stato ritrovato il suo corpo senza vita, si era tenuta la cerimonia di posa e svelamento della nuova lapide commemorativa di Denis, per consentire ai tifosi di ricordarlo con un fiore, o una sciarpa del Cosenza, con una bandiera, un lumino, o semplicemente una preghiera, in nome del ricordo e della verità per colui che è stato definito il “calciatore suicidato”.
Federica Grisolia