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Castrovillari. La storia di un “Masculu e Fìammina” nel teatro di La Ruina

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«Mà, sung nu masculu ca ni piàcin i masculi. O nu “masculu e fìammina” com i chiamavis tu». Saverio La Ruina porta sul palcoscenico le paure e le ansie di un omosessuale, che nella vita sono state sempre addolcite dalla comprensione della madre. Consapevolmente o inconsapevolmente, non lo sapremo mai. E che dopo la morte di questa, il figlio le confessa sulla sua tomba, in qualche cimitero innevato del Sud. “Masculu e Fìammina”, l’ultimo lavoro di La Ruina prodotto da Scena Verticale, che tra sabato e domenica ha riempito il teatro “Sybaris” di Castrovillari, è uno struggente monologo in vernacolo, contornato da dolcezza e ironia, dove l’attore sprigiona una sicurezza e una cura del dialetto, sicuramente frutto delle sue origini calabro-lucane ma inevitabilmente affinato con lo studio e la ricerca.

Nel freddo del cimitero, quest’uomo trova il coraggio di confidarsi con la madre, raccontando finalmente senza pudore la vita da omosessuale: le sue paure, le sue gioie, le sue delusioni. Riesce difficile descrivere la performance di La Ruina come un semplice monologo. La madre, rappresentata solo da una lapide, sembra partecipare al racconto del figlio. Lo ascolta, lo comprende. Il pubblico con qualche timido applauso cerca di far giungere il suo apprezzamento all’attore, quasi con il timore di spezzare quell’incantesimo. La standing ovation finale, ripetuta quattro-cinque volte, è inevitabile. Saverio La Ruina è ormai un attore di caratura nazionale e internazionale che ha catapultato le sue origini nel suo presente e nel suo futuro sul palcoscenico.

“Masculu e Fìammina”, che ha esordito al “Piccolo Teatro” di Milano, è un racconto coraggioso, perchè parla dell’omosessualità in un paese del Mezzogiorno d’Italia, dove ancora esiste la sub-cultura del “frocio” e del “ricchione”. Un figlio che accetta la sua vita così come gli è stata donata ma non ha la forza di evitare la clandestinità a cui erano costretti tanti omosessuali in un mondo che vuole accettare solo la “normalità”. Ma che cos’è la normalità? «Ma perchè diverso? Diverso da chi? Sung nu masculu com all’at masculi». E questa normalità lui sembra trovarla su una panchina dove parla di ricordi belli con la sua amica ritrovata Lina. Per poi tornare ad una vita da uomo solo, sopratutto dopo la morte della mamma. Una vita fatta di piccole cose e di grandi amori perduti in una società che non sa capire. Nel freddo del cimitero si sdraia accanto alla madre e si ricopre di neve, sperando di ibernarsi e di risvegliarsi in un mondo più gentile.

Vincenzo La Camera

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«Nu masculu ca ni piàcin i masculi o masculu e fìammina cum’i chiamàvisi tu». E’ Saverio La Ruina, attore castrovillarese tra i più premiati nel panorama nazionale, l’autore e protagonista del nuovo spettacolo dedicato all’omosessualità. “Masculu e Fìammina”, questo il nome dell’opera, è andato in scena sabato (7 gennaio) al teatro Sybaris di Castrovillari – dopo la prima a Milano – e replicato anche domenica sera. Un monologo in dialetto calabro-lucano dinanzi alla lapide della propria madre, una coltre di neve e l’intimità di un figlio che trova il coraggio di rivelare la propria omosessualità solo quando la madre non c’è più. In realtà la donna lo aveva già capito, senza mai fare domande, con la discrezione che solo una madre può, celandosi sempre dietro un “Statti attìantu”.

E poi la forza della parola. Quelle parole che fanno male perché incollano addosso un’etichetta. Offensive. Che rimbombano nella testa di chi le ascolta. Ma anche parole diverse, che tolgono un peso dal cuore. Una drammaticità che tocca le corde degli spettatori. Una storia iniziata quando Peppino era ragazzino, vissuta in un paese del Sud. Quella poca comprensione e solidarietà trovata, spiraglio in ciò che spesso è ancora un tabù, il grande amore verso Alfredo, vittima del più crudele dei pregiudizi. Un monologo che diventa quasi un dialogo empatico con la madre defunta, in cui La Ruina riesce a trattare un tema tanto attuale in maniera profonda ma ironica, pungente ma delicata. Una diversità che è tale solo perché «tutti siamo diversi», in un mondo in cui ci sono “masculi e fìammini”, uomini e donne, «di cui conta solo il volto. Il resto sono affari loro». Ma dopo una vita rivelata, forse inizialmente rifiutata, e poi accettata nonostante il pregiudizio altrui, non resta che il desiderio di un’altra realtà: «Svegliatemi in un mondo più gentile».

Federica Grisolia

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