Finito l’incubo, almeno per il momento, si contano i danni degli incendi che hanno devastato e mandato in fumo gran parte della vegetazione in tutto l’Alto Jonio ed in particolare a Trebisacce e Albidona. Alla fine, ironia della sorte, tornata la quiete dopo per 4 giorni d’inferno, è arrivata anche l’acqua dal cielo ma il monte Mostarico, tanto caro ai trebisaccesi e agli albidonesi che lo condividono, non è più lo stesso: ha cambiato completamente i connotati. Gli incendi a catena, stranamente sviluppatisi in più punti e che hanno tenuto tutti con il fiato sospeso, lo hanno sfregiato profondamente trasformandolo nell’arido Golgota dove è stato crocifisso il figlio di Dio.
Drammatica, in particolare, la nottata tra martedì e mercoledì, durante la quale, interrotti per la sopravvenuta oscurità i lanci dei due Canadair il fuoco, alimentato dal vento e invano contrastato da uomini e mezzi che a mani nude e senz’acqua per tutta la notte hanno tentato di arginarlo, ha preso il sopravvento seminando distruzione e panico e trasformando in cenere il suo ricco patrimonio boschivo. Ma questa volta il fuoco non si è limitato ad aggredire il verde e, soprattutto nella parte sommitale che appartiene al territorio di Albidona, si è spinto fino alla masserie trasformando in cenere uliveti, vigneti, alberi da frutta e orti, distruggendo stalle e ovili, sacrificando anche alcuni capi di bestiame arsi vivi dal fuoco e gettando nello sconforto i poveri contadini che vedevano andare in fumo anni di lavoro e di sacrifici.
Ovviamente non sono mancate le polemiche e, sul banco degli imputati, oltre ai loschi figuri dei piromani, è finito qualche sindaco, insieme alla Regione e alla Protezione Civile, tutti presunti colpevoli di non aver saputo prevenire e spegnere tempestivamente gli incendi.
Pino La Rocca