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I Borghi dell’Alto Jonio Cosentino. Rocca Imperiale in bianco e nero

I Borghi dell’Alto Jonio Cosentino. Rocca Imperiale in bianco e nero
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Tra leggende e antichi mestieri, una storia da non dimenticare

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Da un’idea del direttore Vincenzo La Camera, dall’amore per la storia popolare di Giuseppe Rizzo e dallo stile della nostra grafica, Ivana Grisolia, nasce questa nuova RUBRICA.
Vi accompagneremo, domenica dopo domenica, alla scoperta del territorio dell’AltoJonio: tra storiaculturatradizionifolkloreleggende… Buon viaggio nella macchina del tempo di Paese24.it

Il prete-giornalista di Acri, don Vincenzo Padula, ci parla anche di Rocca Imperiale nell’800, cominciando dal castello (nella foto) che sovrasta l’abitato; lo definisce “formidabile”; vi sarebbe stato accecato il poeta della scuola siciliana Pier delle Vigne, inviso all’imperatore Federico II. Poi, ci ricorda altre cose scomparse da tempo: «la battitrice di cotone che porta seco l’arco e il fusillo e guadagna un carlino al rotolo; i cardalani che arrivano dalle vicine Canna e Nocara, i ficaruòli e i passulari; si semina il cotone e la bambagia. I giardinieri e i marinari si fanno spesso compari; il paricchio (ovvero, la coppia di buoi maschi usati per l’aratura) costa sei carlini alla scarsa; il vaccaro, i pecorai e caprai prendono dieci ducati all’anno. I mulattieri, detti vaticali, sono molti e anche ricchi; vanno fino a Bari. I trappetari e le varietà delle olive, prodotto principale. Nelle contrade Arena e Tavolara si raccoglie anche la liquirizia. Gli sportari che usano la canna, invece, i barili e i secchi vengono da Francavilla di Basilicata. A Rocca, ci sono cacciatori valenti, ma non si pratica la pesca e niuno sa nuotare. Rocca ha molini a mulo che diconsi gentimoli. I tufi per la costruzione di case si esportano anche nei paesi vicini». Padula informa anche sulla situazione sanitaria locale; tra le malattie è diffusa la tigna, la quale «si propaga a posta, per evitare il servizio militare. I guaritori, per curare certi mali fisici usano il camedrio (a cerzulla) e i peperoni piccanti. Ai proietti, cioè ai bambini esposti e abbandonati dai genitori che resteranno sempre ignoti, si fa l’elemosina il sabato». Il mulino ad acqua della famiglia Miceli funzionò fino al 1940.  Don Vincenzo Padula denunciava anche la mancanza di strade e dice: «bisogna una strada da Castrovillari a Rocca Imperiale. Infine, resta famosa una fontana: chi ha gustato l’acqua della Ruvola non lascia Rocca». In un film di Totò si vede la stazione di Rocca Imperiale!

Oggi, Rocca Imperiale è il paese della poesia, grazie alle manifestazioni del Federiciano; vi accorrano tanti poeti. I canti popolari registrati da Leonardo Alario fanno sentire le voci e i versi di Maria Carmela Manolio, Maria Angela Gallo, Rosa Gallo, Antonietta Andreassi, Mario Fortunato, Maria Antonia Gaudio, Giambattista Di Leo. Canti della Passione, stornelli, canti d’amore: Cara ricciullina. Per il costume femminile e maschile (ovvero l’abbigliamento) bisogna tornare ancora al Padula dell’800 e anche alla tesi di laurea di Domenica Odoguardi, che nella sua ricerca su “Costumi tradizionali dell’Alto Jonio cosentino” (1991-92) parla de ‘u maccature, annodato sulle spalle, calze bianche, gli orecchini sono chiamati ciarcielli; si usavano il “criettu” e il “vielu traviersu” in tempo di lutto. L’abbigliamento maschile: scarpe di cuoio allacciate con stringhe, braghe, scozzetta, mantello carballise. Non si può negare al palato l’uva Italia e il bel vino delle Cesine. Invece, sul limone (Rocca è anche il “paese dei limoni”) c’è un bel libro del  professor Gaetano  Di Leo, il quale scrive sulle pietanze paesane: u rruppa u dejune dei contadini, la licurda). Una volta, agli inizi di luglio, ho potuto seguire la festa più bella, nella cappella di Santa Maria della Nova delle Cesine. Nella chiesetta, edificata nel 1400, c’è un dipinto di Maria che visita la cugina Elisabetta. Qui mi hanno raccontato che un principe pellegrino naufragato e approdato alle Cesine vi volle edificare la cappella. Per Rocca passavano non solo l’imperatore Federico II ma anche i viaggiatori stranieri. Il poeta Dario Bellezza vi aveva comprato una casa e a Rocca dedicò pure una sua poesia. In una inchiesta giornalistica di Parola socialista si parla de ‘u mmerdàru: quando nei nostri paesi non c’erano le reti idrica e fognante, si andava in periferia, quasi a gruppi. Ma a Rocca c’era un uomo con un carro-cassa tirato da un somarello che raccoglieva gli escrementi dei paesani e le scaricavano in un burrone. Più o meno, si faceva così anche negli altri paesi: “erano tempi durissimi”, dicono i nostri nonni.

Giuseppe Rizzo

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