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Raccontando Montegiordano. La vecchia Fornace e le notizie “piccanti” del Padula

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Mentre imbocco la prima delle numerose curve che portano a Montegiordano paese un’anziana signora mi chiede il passaggio e con la consueta curiosità della nostra gente vuole subito sapere da dove vengo e chi sono. La signora mi dice: «mi chiamo Carmela e mio marito si chiamava Carmine; la nostra piccola masseria era vicino alla cappella del Carmine; pure i miei nipoti si chiamano Carmine». Infatti, il nome più diffuso a Montegiordano è Carmine, ma la signora ci tiene a spiegarlo: «nel nostro paese siamo stati sempre devoti della Madonna del Carmine, che si trova vicino al vecchio castello e si festeggia con grande afflusso di gente il 16 di luglio».

Aggiunge che la festa più importante è quella del patrono Sant’Antonio, che si celebra il 13 giugno. Nella seconda domenica di maggio si teneva anche la fiera. Visto che siamo nel campo religioso, chiedo pure dei canti popolari dedicati ai santi: ricordo le registrazioni del professor Leonardo Alario fatte nel 1982, il quale ha raccolto anche le canzoncine della Settimana santa. Cantavano Antonio Pellitta, Domenico Giampietro, Agnese, Rosa e Maria Franco, Giuseppina Toscano e Maria Domenica Giacumbo. Belli anche i canti di pellegrinaggio alla Madonna del Pollino: Simi venuti da longa via. Altre canzoncine sono dedicate a Santa Lucia e a S. Rocco. E a Carnevale è bello riascoltare Oj cumpàre mie, cantata dall’indimenticabile non vedente Antonio Pellitta e da Domenico Giampietro. Però, c’è pure qualche canzoncina che prende in giro i poveri emigranti d’America: E llu cafone s’è mmìse’i guan (Il cafone ha indossato i guanti, ndr). La nostra signora è una miniera di notizie, peccato che dopo tante curve, siamo arrivati già al paese, che nell’800 l’abate Padula, lo vedeva così: «Montegiordano è sul pendio del timpone Pizzuto; ha vasto orizzonte. All’interno delle case hanno il pozzo sorgivo».

La mia simpatica compagna di viaggio dice che «nella masseria di Monte Melazzo c’erano tanti tesori, ma nessuno è riuscito ancora a scovarli». Vincenzo Padula si divertiva a raccogliere notizie “piccanti”, specie se riguardavano monaci e preti: «A Montegiordano, i preti hanno le puttane; però il vescovo Acciardi non punisce l’arciprete Andreassi, nella cui casa riceve il caffè da Maria Domenica». Comunque, anche don Vincenzo Padula era prete, e in una della tante carte dei suoi preziosi appunti aveva scritto delle “sette donne da lui amate”. Lo scrittore di Acri ci ricorda anche il costume femminile di Montegiordano: «panno trinato in testa, nero o rosso; fazzoletto al collo, camicia con riccio, sinale, gonnella di panno nero, u jettulo nero». Il costume maschile lo vediamo nelle fotografie di Pietro Tarsia, di Di Lernia  e di Riccardo Liguori: pantaloni di velluto nero, camicia bianca, e in tempo di lutto, la cravatta nera. E’ interessante riportare anche questi altri appunti del Padula:  «a Montegiordano e Nocara chi ha il gozzo o l’ernia, quando suona la gloria del Sabato Santo, se li toccano e stringono  dicendo: Gloria sonanno / cuglia o vozza passanno».

Montegiordano di oggi: questa gente è sempre laboriosa; vanno bene i piselli. Ieri, «vi si coltivavano grano e legumi. Si producevano 800-900 tomoli di pere all’anno, venivano essiccate e si vendevano a Taranto. Ma ora il commercio è finito e le pere si danno ai maiali e alle vetture (bestie da soma e da sella), mescolandole con le biade». Lungo il torrente Cardone sono ancora visibili i resti del mulino ad acqua e della vecchia Fornace (nella foto), dove uscivano coppi (i ciaramìle) e mattoni. Il castello di Piano delle rose (nella foto in alto una vecchia diapositiva) mantiene i portali ad arcata, le scale e la cisterna; al centro del cortile c’erano i magazzini delle derrate agricole. L’arte popolare è molto antica: tra i reperti archeologi di una fattoria romana nella citata località Menzinaro ci sono anche oggetti di filatura e tessitura. A Montegiordano puoi gustare buoni prodotti tipici: olio, formaggi e  salumi. Se avessero messo in funzione il famoso salumificio avremmo avuto una discreta occupazione per i giovani e anche cose nostre e di buon gusto. Altre notizie su Montegiordano si trovano nel libro di Carmelo Mundo, che ha recentemente pubblicato una documentata monografia sul Catasto onciario del 1745. Qui echeggia ancora la delicatissima poesia del compianto Luigi Pace. E l’altro poeta, Gino Rago canta il sapore dei fichi, i giochi dell’infanzia, suo padre che lavorava nella bottega. Ora procedo verso Roseto, Oriolo e Amendolara.

Giuseppe Rizzo

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