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Oriolo. Le leggende di San Giorgio e quel dialetto che piace a tutti

Oriolo. Le leggende di San Giorgio e quel dialetto che piace a tutti
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Abbiamo appena assistito alle due grandi feste religiose di fine aprile: San Francesco di Paola e San Giorgio Martire. Sono due santi che stanno sempre a cuore agli oriolesi, anche agli emigranti sparsi per il mondo. In una di queste processioni ebbi modo di ascoltare bellissime canzoncine dedicate a San Francesco di Paola. Chissà se ancora cantano Pierino Volpe, Francesco Soria, Giancarlo Acciardi, Giorgio Gatto e Domenico Giampietro? In quella festa c’era un giovane che danzava, con incredibile equilibrio, tenendo il lungo palio sul petto!  Il secondo nome più diffuso in Oriolo è Giorgio. San Giorgio è venerato per ragioni di fede, di storia e soprattutto per la sua antica leggenda. Il prof. Vincenzo Toscani, storico abbastanza documentato, gli ha dedicato uno dei suoi libri, dove si parla di una occupazione militare avvenuta nel 1528: il generale francese Lautrec assediò Oriolo per ben 25 giorni; gli abitanti, con tutto il pericolo che rischiavano, si presero beffa dei francesi; invece di lanciare sassi, fecero rotolare pezze di formaggio e di ricotta. I soldati nemici le divorarono in pochi istanti, ma poi, forse, ebbero tutti dei contorcimenti di pancia e si accorsero del trucco: le ricotte erano state ricavate dal latte delle donne, appena partorite.

Ma il fatto più leggendario è quello di San Giorgio che fermò la cavalleria francese, al grido di “pied’arm!”. Questo santo, che sconfisse il drago, è venerato anche per aver fatto cadere la pioggia, in un periodo di grande siccità, facendo arrabbiare i vicini di Amendolara, che avevano implorato invano il loro san Vincenzo.Un’altra leggenda l’ha ricordata Vincenzo Padula, quando scrive che in Oriolo c’era «il celebre pastore Scarano che minacciava di sciogliere e legare i lupi».

Il paese era difeso dalla cinta urbica e Oriolo faceva parte della diocesi di Anglona-Tursi. Oggi appartiene a quella di Cassano. Gli oriolesi non si offendono se qualcuno li chiama coppoloni: così vennero definiti nel manoscritto di Giorgio Toscano (1695), il quale fa la storia di Oriolo dal 1221 al finire del ‘600. Questo paese visse sotto il dominio dell’imperatore Federico II; nel 1552 divenne feudo dei Pignone (con Marcello presidente della Regia Camera della Sommaria), poi Pignone del Carretto. Del convento di S.Francesco d’Assisi sono rimasti solo i ruderi (che oggi stanno tornando alla luce), ma si ricordano anche quei monaci del 3° Ordine dei Claustrali. Uno scrittore parla della “grandiosità” della chiesa madre. Nel medioevo la chiesa era a due navate e forse risale al periodo normanno-svevo, anche se rimangono resti del Quattrocento come recitano le epigrafi dei resti del campanile. La chiesa è dedicata a S. Giorgio; vi troverete una statua in marmo bianco della Madonna col bambino della scuola del Gaggini datata 1581, che proviene dal convento dei Francescani, un altare ligneo barocco del ‘700 (recuperato dal prof. Toscani nel 1976),  proveniente dai Cappuccini, un bassorilievo di scuola donatelliana, statue lignee del ‘700, una croce processionale  e altri oggetti sacri.

Il castello di epoca normanno-sveva, viene visto come “inespugnabile” fortezza.  Giacinto Luzzi ci racconta della vita feudale e parla pure dei castellani: «nel castello del principe abitavano i signori dallo sguardo rabbioso, i villani che dalla vicina Scalapitta si recavano dal padrone con la cesta in testa, con panieri colmi di mele e fichi troiani». Luzzi ricorda il mulo carico di ceppi di quercia e poi, anche le ribellioni antifeudali e il dramma dell’emigrazione. Qualcuno potrebbe pure rimproverarci se citiamo spesso il sacerdote di Acri, Vincenzo Padula (1819-1893), ma questo autore dell’800 parla pure di Oriolo:  «ha pessimo sito; è soffocato da monti, il terreno frana; e la chiesa, frana sempre. Ha un celebre castello».  Però il prete Padula fa spesso il “pettegolo”, specialmente quando parla delle donne dei nostri paesi: «Le donne di Oriolo sono bellissime, ma sono tutte puttane. Un carlino l’una. E si dice: “D’Oriulu / né fimmina, né mulu”. Vestono come le Luzzesi. con il gozzo (gavazzu), di qui la bellezza delle donne». Per il costume era molto bella la gonna verde, che scendeva fino alle caviglie, le donne usavano anche u juppùne e la camìsa con i merletti.  Ma la storia e le tradizioni popolari di Oriolo le troviamo esposte, in maniera esauriente, nel libro Io mi racconto e racconto il mio paese dei ragazzi della Scuola Media. Sono da visitare, specie per gli studenti degli altri paesi, l’Osservatorio geofisico diretto dal prof. Vincenzo Toscani dove funzionano una stazione sismica dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia e una stazione meteorologica. Maestoso è l’anfiteatro “La Portella” (foto in alto). Lungo il torrente Ferro vedi i resti dei mulini di Santo Stefano e del  Mulino Picato. In Oriolo c’era pure qualche vecchio pastore che suonava la zampogna.

Altri contadini raccontavano fatti di briganti: don Domenico Soria, sequestrato dai briganti Giovanni Labanca e Cuciniero (della banda di Antonio Franco) e portato in una grotta della foresta di Castroregio, e quel Francesco Buongiorno della banda Catalano. Buongiorno era stato preso dalla Forza pubblica che l’aveva arrestato e obbligato a fare da guida per scovare i briganti di Catalano; durante il viaggio chiese di fare un bisogno personale, ma vistosi sciolto nelle mani si mise a correre per un dirupo, veniva colpito a morte, ma salvò la banda Catalano indicando alla truppa una traccia diversa di quella che stava facendo. I cibi e la cucina tipica locali li descrivono gli stessi studenti nel libro. L’elenco è abbastanza lungo: sauzìzz’, prisùtt’, suprissàta, case, i iwatin (gelatina), i firzùw, uaganèll, rashkatìll al ragù e con formaggio, la fava shkantata, fava arrappàte. Fave c’a scorza, uicurd’icipull, i patàne e tante altre licurde, la frutta, dolci natalizi: crucittnfurnàte, i crisp e i taralli, e quelli pasquali: mìnnuwiatttturrate, a pittanghiuse ed altre pitte, tutte di ottimo sapore.Vincenzo Diego ha scritto un libro sull’ultimo Pignone del Carretto. Sul dialetto oriolese basta leggere le poesie di Giacinto Luzzi (ne ha parlato egregiamente il prof. Giorgio Delia) e di Peppe Muscetta. Ma  Oronzo Accattato è un altro illustre scrittore e poeta. Oronzo ci racconta, con amara ironia, della situazione sociale della sua infanzia, quando non c’era ancora la rete fognante e si andava, in fila, in un costone della periferia, di rimpetto alle case.

Giuseppe Rizzo

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