Sta per cominciare l’estate, ma dalle nostre parti c’è ancora un po’ di verde; i contadini sono quasi pronti per la mietitura ma aspettano l’acqua. C’è tanto silenzio e quiete nella bella foresta di Castroregio, però mi dicono che in contrada Luppo è successo qualcosa di triste. Di tanto in tanto, incontravo un “pastore solitario” che si chiamava Salvatore. Parlava poco e non l’ho visto mai sorridere; non aveva cinquant’anni ma sembrava già vecchio, gli mancavano diversi denti. Diceva soltanto che solo una volta era andato dal medico: anche Salvatore usava i rimedi naturali delle erbe. La barba se la radeva quasi una volta al mese. Certe volte, vestito di nero, sembrava un vecchio brigante del Pollino, ma non faceva paura a nessuno. Quando l’incontravo all’abbeveratoio del bosco di Castroregio mi raccontava sempre del suo bestiame, dei suoi genitori che lo lasciarono ancora ragazzino e della dispersione dei suoi parenti emigrati lontano. Salvatore Pugliese, originario di Oriolo, fece prima il pastore con i proprietari della zona e poi si mise in proprio, vivendo in una vecchia masseria. Era uno dei tanti uomini solitari della Calabria. I due cani erano compagni inseparabili e fedeli. Diceva che anche le sue capre gli volevano bene. Solo da noi, escursionisti di montagna e ricercatori degli uomini della solitudine, accettava una sigaretta, una fetta di melone fresco o una bottiglia di birra calata nell’acqua. Mangiava poco, e quasi sempre i latticini della sua mandria. Di tanto in tanto, andava ad acquistare un pane, in paese. Certe volte, voleva anche parlare con quelli che incontrava nel pascolo: era uno del “mondo dei vinti” di Nuto Revelli. Non era sposato. Una volta ci disse: “e quale donna potrebbe venire a stare nella mia casetta, dove io non ho paura dei topi e dei serpi ?”. Aggiungeva, assai amareggiato, che spesse volte, i malviventi senza cuore e senza coscienza gli rubavano i capretti ed altro. Lui non disturbava nessuno.
Giuseppe Rizzo