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Tragedia Raganello, a Cerchiara l’ultimo saluto ad Antonio De Rasis

Tragedia Raganello, a Cerchiara l’ultimo saluto ad Antonio De Rasis
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foto Franco Lofrano

di Giuseppe Rizzo

Mi son dovuto fermare nelle ultime curve che portano a Cerchiara: il paese è intasato di macchine, gli esercizi commerciali sono tutti chiusi, i muri delle case sono tappezzati di manifesti funebri. Il vasto piazzale della  “Fontana vecchia”  è gremito di gente commossa. Sul basso palchetto c’è una bara circondata da corone e grossi fasci di fiori. Di fronte, sono seduti tutti i sindaci dell’Alto Jonio e del Castrovillarese. In prima fila, anche il presidente della Regione, Mario Oliverio e il presidente del Parco Nazionale del Pollino, Pappaterra, il capo della Protezione Civile, Carlo Tansi, e altre autorità civili e militari. Servizio d’ordine perfetto: ogni sindaco ha portato il suo vigile urbano. Arriva il vescovo della diocesi di Cassano Francesco Savino, con il pastorale, la mitra e il piviale, tutti in bianco, perché tra i dieci morti nella tragedia del Raganello c’è anche il giovane cerchiarese Antonio De Rasis, stroncato a 32 anni.

Sono giunto a Cerchiara, perché sono amico della famiglia De Rasis, ma anche perché con il giovane Antonio ci incontravamo spesso nelle montagne del Pollino. Lui era sempre in compagnia di altri giovani escursionisti. Antonio preferiva le profondità delle Gole del Raganello e anche i rilievi innevati di questa stupenda montagna; io salgo anche sulle vette ma spesse volte voglio camminare  solo, lungo i sentieri dei briganti e dei madonnari. Una volta, i suoi allegri compagni si meravigliarono perché mi appoggiavo a un bastone di legno: me l’aveva regalato un amico pastore del Pollino. Invece, la comitiva  di Antonio era modernamente attrezzata.

Ora, non è più il caso di raccontare la sciagura del 20 agosto. Ne hanno parlato televisione, radio, giornali e facebook, ma vi abbiamo riscontrato poche verità, qualche polemica distruttiva e solita retorica scaricata sui morti. Nessuno dice che la Natura si vendica per i delitti degli incendi dolosi, delle costruzioni abusive, della sete di guadagno. Pochissimi quelli che scrivono sulla disperata situazione giovanile: i nostri figli si arrangiano anche nelle più spericolate esperienze di lavoro. Purtroppo, è anche vero che il Raganello sta diventando un comodo sito di “golomania”. Altri parlano di “business”. Io, che frequento il Pollino, mi sono reso conto di un’altra amara verità; la conferma una vecchia guida: “I gruppi non si vogliono sempre bene”.

Lascio stare anche questa verità e mi infilo tra la folla, per ascoltare da vicino i pensieri che leggono accanto alla bara. Il sindaco di Cerchiara, dottor Antonio Carlomagno riesce a controllare gli assalti dell’emozione. Dice che le “scelte di Antonio De Rasis erano il prossimo e la Natura”. Ma ricorda anche gli altri poveri morti del Raganello: Gianfranco Fumarola (Cisterino), Antonio Santapaola, Carmela Tammaro (Quagliano), Maria Immacolata Marrazzo (Ercolano), Carlo Maurici e Valentina Venditti (Roma), Paola Romagnoli (Bergamo), Miriam Mezzolla (Taranto) e Claudia Giampietro (Conversano). Nonchè i sei bambini rimasti orfani, e i quindici escursionisti portati in salvo.

Anche i quattro giovani amici di Antonio hanno letto tra le continue strozzate di pianto: Maria Vittoria Liguori (vice sindaco) era una compagna di scuola, Antonio Valentino si sofferma su  incancellabili ricordi, Giovanni Vancieri chiude con un invito condiviso da tanti presenti: “non dobbiamo avere rancori verso nessuno”; Luca Franzese, col cuore più amareggiato, descrive il dramma della giornata di soccorso, ma alla fine, guardando la bara di Antonio, ha concluso:  “Ti chiedo perdono se non sono riuscito a salvarti!”. Invece, la sorella Amelia De Rasis è stata straordinariamente coraggiosa, nel ricordare il fratello e nel ringraziare la grande folla accorsa a Cerchiara, anche da lontano. Si è parlato con chiarezza anche di “giustizia e verità”  su questa tragedia.

Ma nel piazzale di “Fontana vecchia” il grido più possente l’abbiamo sentito dal parroco don Peppino Ramundo: “Antonio era un ragazzo che abbracciava gli altri. Abbracciava di cuore. Prendiamo esempio dall’amore di Francesco. Ma stiamo attenti; oggi, l’abbraccio deve essere sincero!” Il vescovo Savino, che conosceva Antonio De Rasis, e sapeva che si era dedicato al prossimo e a Madre Natura, grida, davanti ai sindaci e a tutti i presenti: “Smettiamola di dire calunnie sulla nostra terra; i giovani e anche noi tutti, dobbiamo imitare l’esempio di Antonio. La Calabria è bellissima, è onesta e laboriosa. Dobbiamo collaborare tutti insieme per renderla ancora più bella”.

La folla si affretta ad abbracciare gli affranti genitori Ciccio e Lucia De Rasis. La bara, portata a spalla dagli amici del cuore, si avvia verso il cimitero, abbarbicato sulla collina di Cerchiara. Non posso fare a meno di copiare un pensiero che vedo nel manifesto:

“Ecco, io la penso così: camminando in montagna riesco ad essere una persona migliore, un amico migliore, un figlio migliore…Provo forti emozioni anche solo alzando lo sguardo verso il panorama. Ritrovo in me la voglia di vivere in modo umile, apprezzando tutto ciò che la Natura offre. Sto bene. Sono vivo”. Firmato Antonio De Rasis.

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Rosa Sancineto
Rosa Sancineto
5 anni fa

Addio Antonio ,
sei stato un caro ragazzo,resterai per sempre nei nostri cuori e nei cuori dei nostri figli.Impossibile dimenticare il tuo sorriso e la tua voglia di sfidare il mondo.
Un abbraccio caro ai tuoi familiari perché hanno perso un tesoro ed un eroe.