Una serata di ricordi e di nostalgia, dove ha trovato posto anche la storia, quella con la S maiuscola, nell’intervento del professor Trebisacce (che ha firmato la prefazione del libro), il quale ha tracciato in breve il percorso storico dell’emigrazione, partendo dalle fasi interregionali a quelle oltreoceano, sottolineando come spesso il ruolo dei politici sia stato “accomodante” verso questo fenomeno anche e sopratutto in virtù di un mantenimento di possibili tensioni sociali dovute alla disoccupazione. Il professor Alario, invece, ha rimarcato come oggi l’emigrazione debba assumere dei connotati per così dire “volontari” e non al limite dell’out out, come una volta, quando si era costretti ad emigrare per fuggire dall’acqua sale (tipica e povera pietanza contadina). Per ciò che concerne il lavoro di Gerundino, Alario ha lodato la sua metodologia ultrà locale. «Poichè – ha detto il professore – la Grande Storia si costruisce Municipalità per Municipalità». Presenti tra il pubblico, oltre ai tre emigrati intervenuti, anche altri tre cittadini amendolaresi che dopo diversi anni in terra argentina sono definitivamente rimpatriati, e cioè: Rocco Cataldi, Salvatore De Marco e Antonio Donato (l’ultimo amendolarese emigrato in Argentina per lavoro negli anni’ 60). Il dibattito per volontà dello stesso Gerundino si è svolto nei pressi della stazione ferroviaria, luogo simbolico e fisico delle partenze. Si consolida, così, sempre di più il legame tra Amendolara (tra l’altro gemellata con la città di Lanùs) e l’Argentina, con la consapevolezza che l’emigrazione di una volta (verso ogni parte del Mondo) si confermi sempre di più come una pietra miliare nella storia di Amendolara; ma, allo stesso tempo, possa, oggi, mediante l’impegno e il dovere morale della politica nazionale e locale, arrestarsi, per permettere alle nuove generazioni di creare sviluppo in una terra che necessità del tanto atteso salto di qualità.
Vincenzo La Camera