di Giuseppe Rizzo
Credo che anche la raccolta delle olive si dovrebbe raccontare direttamente dal campo. Se la condividi e la vivi di persona, puoi scoprire il vero mondo della fatica umana, che porta pure una grande soddisfazione. Si pensava ad una “malannata”, perché non ha piovuto dall’inizio dell’anno. Infatti, gli ulivi dell’Alto Jonio, che l’anno scorso non hanno dato una goccia d’olio, quest’anno presentavano la stracarica, ma fino a settembre le olive cadevano per terra ed erano tutte “arrappate”. Comunque, i nostri contadini hanno espresso una verità che noi “profani” non conoscevamo: “Non hanno subito la puntura della mosca olearia, perché la siccità la fa morire. Quel po’ di olio che avremo, sarà proprio buono”: anche questa volta, la sapienza popolare di Bertoldo non ha sbagliato: olive sane e ottimo olio. Il buon segnale l’aveva già dato la provvista di olive verdi: le schiacciate e condite con origano, aglio e sale, le olive alla salamoia, che in Trebisacce dicono “a ndùss”, e le olive nere appassite, che gli albidonesi chiamano “olive morte”. Queste olive “conciate” si possono consumare per tutto l’anno.
E’ bastata quel po’ di pioggia di ottobre e novembre. Io, nella notte che ho macinate le mie poche ma ottime olive “nostrane”, appena sono tornato a casa, ho inforcato due lunghe fette di pane casereccio, davanti alla brace, le ho intinte con l’olio nuovo, mi sono seduto davanti al fuoco e ho consumato con grande gusto le due “ffèlle ntìnte” . Sono rimasto contento pure io, che cerco di fare “cultura e coltura”. E ho discretamente “esagerato” col fiasco di vino! A Natale, i miei potranno fare anche le belle crispelle con la farina del grano carosella, un altro nostro prodotto tipico da valorizzare.
Me lo confermano altri amici dei vari paesi dell’Alto Jonio: “L’olio 2019 è veramente oro giallo !”.
Raccogliendo le olive che cadono per terra, le nostre donne raccoglitrici, che salgano pure loro sugli alberi, come leggere caprette, ascoltano incuriosite l’antichissima origine dell’ulivo: quella bianca colomba che il biblico Noè mandò per tre volte fuori l’arca, dopo i quaranta giorni di diluvio universale, tornò con una foglia di ulivo nel becco. Cristo, poche ore prima di essere inchiodato sulla croce, aveva pianto nell’orto degli ulivi. E poi, la palma dell’ulivo, che è segno di pace universale. Tutto sommato, se la raccolta avviene in compagnia, la fatica è meno dura. Però, c’è stata gente che ha dovuto raccogliere anche con il freddo, con il vento e la pioggia. Si è verificato pure qualche incidente, ma per fortuna, non c’è scappato il morto. Certi uliveti sono situati in luoghi impervi. Ma siamo tutti d’accordo che la grazia di Dio non si deve perdere. Purtroppo, diversi uliveti, pure carichi di frutti, sono rimasti all’abbandono.
Io ho raccolto anche una cassetta di oleastri: esce un olio tutto verde e non è affatto amaro, ma ha un raffinato sapore.
Riscopriamo anche altre notizie interessanti: le vecchie olive nostrane, la forisana, le nuove San Benedetto, la Rende, la nocellara. Angela Filomena, nella Piana di Francavilla ha la nocellara messinese e la nocellara del Belice.
Anche il frantoio è un luogo di intensa fatica: si deve lavorare con sveltezza e ordine, ma anche il vecchio “trappeto” è un luogo di amicizia e di opinioni. Il frantoiano trova pure un po’ di pausa per provocare politicamente il cliente che non la pensa come lui.
Io, il due Novembre, quando vado a davanti alla tomba dei miei cari, non porto fiori, ma solo un ramoscello di ulivo. Sono sicuro che anche qualche sacerdote, pure nella notte di Betlemme parlerà di pace, ricordando i sacri ulivi del Getsemani. Buon Natale per tutti i nostri gentili lettori.