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Un libro per far luce su ingiustizie, poteri dello Stato e… la vicenda di un sindaco

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Storture della Giustizia e un forte disquilibrio tra i poteri dello Stato: di questo si parla nel libro La chiamano giustizia, ma è ciò che il giudice ha mangiato a colazione, edito da Pacini Editore e scritto da Morena Gallo, una giornalista calabrese di cronaca giudiziaria. Si tratta di un’inchiesta giornalistica che, sebbene narri un caso   di   cronaca   locale, abbraccia   argomenti   di   stretta   attualità   legati   al   sistema giudiziario italiano e al rapporto tra politica e magistratura.

In 146 pagine si racconta la storia giudiziaria di Giuseppe Caterini, sindaco   di   Laino   Borgo, cittadina del Pollino cosentino, in Calabria, condannato in primo grado per concussione. Una   sentenza   che   poteva   e   doveva   essere   ribaltata   dalla   Corte   d’Appello, che però dichiarò il non doversi procedere nei confronti dell’imputato   perché purtroppo nel frattempo venuto a mancare. Il sindaco, nel 2009, finì in un’indagine della Procura di Castrovillari (Cosenza) e venne poi mandato agli arresti domiciliari per un’ipotesi di concussione: secondo l’accusa, aveva preteso da una ditta appaltatrice la risoluzione di un contratto di subappalto con una ditta locale, con   lo   scopo   –   sempre   secondo   l’accusa   –   di   ottenere   un “vantaggio   di   tipo   politico”, cioè quello di accreditarsi come un bravo amministratore, consistente in una finalità ritorsiva nei confronti del titolare della ditta esclusa. Sta di fatto   però   che   il   contratto   di   subappalto   del   quale   il   protagonista   aveva   chiesto   la risoluzione   non   era   mai   stato   autorizzato   dal   Comune   e, dunque, a   realizzare   con certezza un reato erano proprio gli accusatori del Sindaco che, invece, per non incorrere in   responsabilità   penale   aveva   l’obbligo   di   far   interrompere  quel   subappalto   mai autorizzato. In buona sostanza, il sindaco fu arrestato per aver preteso il rispetto della​ legge, per aver preteso ed ottenuto l’interruzione della perpetuazione di un reato, com’è spiegato in maniera semplice in un’intervista al Prof. Sergio Moccia (Professore emerito nell’Università di Napoli e presidente dell’Associazione italiana dei professori di diritto penale).

La storia – oltre a svelare una serie di retroscena sui possibili motivi e interessi che   hanno   spinto   gli   accusatori  – affronta   perciò   un   caso   giudiziario paradossale, si potrebbe   dire   kafkiano, paradigmatico   dei   ‘rischi’   che   si   corrono svolgendo funzioni politiche o amministrative. Rischi che potranno scongiurarsi solo attraverso un profondo ripensamento dei rapporti tra politica e magistratura, tema che fa da sfondo a tutto lo scritto. Significativo è l’ultimo capitolo, nel quale vengono espressi i dubbi sull’efficienza   del   sistema   giudiziario   italiano, evidenziandone   i   limiti   e   le   distorsioni; dall’erosione del principio di legalità all’abuso delle misure cautelari, dalla lunghezza dei processi alla responsabilità civile dei magistrati.

Il libro, composto da dieci capitoli, ha un’appendice di interviste a Mario Caterini, Enrico Caterini, Sergio Moccia e Antonio Graziano. Vi è una  prefazione   di   Giovanni   Fiandaca   (Professore   emerito   di   Diritto   penale nell’Università di Palermo e una figura eminente del mondo giuridico non solo italiano), un prologo di Alessandro Barbano (saggista e giornalista, già Direttore del «Mattino», docente universitario, esperto sulle tematiche   politiche   e   giudiziarie),   nonché   una postfazione di Giorgio Spangher (Professore emerito di Procedura penale nell’Università di Roma “La Sapienza”, Presidente dell’Associazione tra gli studiosi del Processo penale, altra figura eminente del mondo giuridico non solo italiano).

Redazione

 

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