Il Diario del Pollino. Piano Iannàce e la fontana di Pitta cùrcia. Perchè si chiamano così?
La montagna non è solo svago e salute, ma anche luogo di storia, di leggenda, di scienza e di silenzio. E’ bella pure la lieta compagnia, ma almeno un’ora di percorso solitario si può pure provare. Nel silenzio del bosco puoi fare il tuo esame di coscienza, puoi parlare con i tuoi morti e puoi anche pregare. Non puoi avere paura. Sulla vetta del Dolcedorme, gli amici del CAI di Castrovillari, oltre al Registro dei pensieri e delle firme degli escursionisti che vi arrivano, hanno affisso una lastra metallica dove è trascritta una frase di Emmanuele Kant: “Quanto monotona sarebbe la terra senza montagne!”
Fare il sentiero dalla fontana di Acquatremola, Piano di San Francesco, Piano Iannàce potrai godere un’ora e mezza di pace e di fresco. I madonnari di Terranova di Pollino se la facevano a dorso d’asino; si fermavano, solo con una breve sosta, nella verde radura di San Francesco. Dopo una lieve salita fiancheggiata di alti faggi e abete bianco, piegavano a destra; varcato il canale Iannàce, erano già ai piedi della Vergine. Qualche donna arrivava a piedi scalzi, per sciogliere un voto o per chiedere una grazia.
Io e Giovanni, il sentiero Acquatremola-Piano Iannàce l’abbiamo fatto in un’ora; senza scappare. Piano Iannàce: perché questo nome? Raccontano che un giovane pastore di Frascineto, di nome Gennaro (Ianàce, in albanese), trovandosi a pascolare su questo grande prato, fu involontario testimone oculare di un sequestro di persona da parte dei briganti. Per timore di essere scoperti, il più sanguinario di quei banditi gli puntò il fucile sul petto e lo uccise. Da questo tristissimo fatto di sangue innocente, quel pianoro che si trova tra il santuario della Madonna e la Grande porta del Pollino viene chiamato Piano Iannàce.
Dopo 15 minuti, arriviamo alla freschissima fontana di Pitta cùrcia. Giovanni mi chiede: “Sai perché la chiamano così ?”. Un vaccaro che fa l’annuale transumanza dalla Marina al Pollino mi ha raccontato questa storiella popolare, che per dire la verità, mi piace poco: “Uno sfortunato pastore viveva, da fine maggio a ottobre, in queste montagne. La giovane moglie, che stava in paese, gli mandava, ogni 15 giorni, il cambio dei vestiti e anche una pitta lunga, che non era rotonda, come la comune focaccia. Dopo qualche mese, la pitta che giungeva dal paese non era più …. lunga, ma abbastanza corta, insufficiente a sfamare il pastore. Perché questo strano trattamento della moglie lontana? Perché la signora s’era trovato il pirùscio (l’amante), e maltrattava il povero marito pecoraio del Pollino”.
Giuseppe Rizzo