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Le tradizioni pasquali nei paesi dell’Alto Jonio Cosentino

Le tradizioni pasquali nei paesi dell’Alto Jonio Cosentino
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Vi riproponiamo, per la prima volta sul web, un articolo del nostro storico Giuseppe Rizzo – pubblicato su Paese24 Magazine di aprile 2013 –  alla scoperta delle antiche tradizioni pasquali. Una ricerca sintetica ma allo stesso tempo dettagliata, arricchita da una precisa terminologia dialettale. Dalle pietanze tipiche agli antichi rituali tramandati da generazioni che accompagnavano e accompagnano, in qualche modo ancora oggi, la Settimana Santa (Vincenzo La Camera)

Ho fatto un rapido giro per i paesi dell’Alto Jonio e molti amici mi hanno raccontato che rimane ancora qualche traccia delle nostre vecchie tradizioni popolari della Pasqua. Le nostre donne sono le brave maestre dei dolci. A Plataci, Castroregio e Farneta sfornano tipici pezzi arbereshe: i tòrtani, i qugliach e gli gliacruare. Ma il più caratteristico è la cullùra fatta con farina, uova, olio o la ‘nzùgna (grasso di maiale), pepe o cannella. A Trebisacce e in Amendolara trovo la definizione più appropriata: a cullùra ‘ntorciniàta cu ll’uve: la ciambella attorcigliata con l’uovo. In Oriolo la cullùra grande è chiamata u culluròne e contiene tante uova quanti sono i componenti della famiglia. Sentite un particolare di Canna e di Trebisacce: il numero delle uova della cullùra deve essere dispari. Per Albidona voglio segnalare  u vintùne, il culluròne  che  si portava al fidanzato e conteneva fino a 21 uova; era così grande che per cuocerla si doveva sciollàre (allargare) la bocca del forno!

Il secondo dolce “importante” è la bambola con l’uovo, una delle poche gioie per le femminucce: u pizzuòghe (il pezzo con l’uovo) in Albidona, a pupa cu ll’ove, o u pizz cu ll’ove a Rocca Imperiale, Oriolo, Nocara, Cerchiara e Villapiana; in Amendolara u cuzzòve (nella foto); a chizzòla a S. Lorenzo Bellizzi, a Trebisacce, u cuzzùghe, a Montegiordano, u cuzzùle; invece a Roseto Capo Spulico dicono u pipigòne. Per i bambini di Albidona si fa la colomba, ma la chiamano pàpera; originale anche il dolce di Canna: il pesce con l’uovo in bocca. A Francavilla Marittima si può gustare l’ottima pastiera, a Roseto, a Rocca e a Canna si fa a pitta duce; a Nocara si usano le pasterelle e le sfogliatelle. La pitta dùcia di Rocca è un dono che la suocera fa alla nuora. Le donne di Oriolo fanno i mìnnuw’ atturràte (mandorle con zucchero fondente), u chillirόn’  e u pupuwignògnuwe, e i  sfogliatèll’.

A pitta ‘nghiùse, sempre ad Oriolo, è una specie di calzone ripieno con spinaci, bietole o ricotta; si mangia dopo la processione del Venerdì santo, quando finisce il digiuno pasquale. A Trebisacce lo chiamano u faugòne, a Roseto u fragùne, in Amendolara u fraguniell, a Montegiordano dicono, pittanghiùse, a Oriolo, a pittanghiùs’ cu i vete e cu lla ricòtt’, in Albidona, u ‘nghiùse. Ottimo anche u pastizz di Canna, di Rocca e di Amendolara: è un calzone con salsiccia, uova, formaggio e pancetta. Altre squisitezze locali le puoi assaggiare a San Lorenzo Bellizzi: la frittata con asparagi e pallaccio (simile alla mozzarella) che si consuma nel giorno della Pasquetta. In Albidona a minestra’i Pasch era una frittura con salsiccia, lardo, peperoni secchi, uova e pallaccio. A Villapiana parlano pure di casatelle. I canti popolari fanno rivivere il dolore della Madonna e di Gesù crocifisso; a Francavilla, in Albidona, a Trebisacce, a Canna ed Amendolara ci sono ancora anziani, giovani e donne che nel Giovedì santo e nella processione del Venerdì santo mantengono la tradizione (nella foto qui sopra).

La vrògna, a truòccugue, u zzìrr-zzìrr, u ddùrr-ddùrr. In Alessandria si ricorda un certo Gaetano Panio che girava di notte, suonando a vrògna. Nella processione del Venerdì santo i ragazzini suonavano la troccola, che in Albidona chiamano u zzìrr-zzìrr e a Trebisacce u ddùrr-ddùrr. L’agnello alla maggiorana. A Nocara, una tradizione pasquale molto bella: ll’àine’a lla maiorana (L’agnello alla maiorana), detto anche a Pasch d’a zita:  il  fidanzato portava in dono alla fidanzata un agnellino ornato con nastri colorati e ramoscelli di maggiorana a cui era legato u pindendìff d’oro. Più o meno, la stessa usanza si fa a Rocca Imperiale e in Albidona: una palma con l’oggetto d’oro. Per concludere, certe usanze che erano in Albidona e anche in altri paesi ci forniscono una lettura della situazione sociale di vecchi tempi: nella settimana di Lazzaro (penultima di Quaresima) non si poteva toccare la salsiccia; si usava baciare non solo le mani ma anche i piedi dei genitori, dei nonni e del papa (il patriarca del parentato). Era una società patriarcale e povera, però, queste tradizioni popolari sono l’anima della nostra gente; i loro contenuti sono la fede, il dialetto, i cibi più genuini.

Giuseppe Rizzo

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