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“Liriche da Castelvecchio”. La poesia che nasce dal “nido” di Pascoli

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Immaginiamo di rivivere i luoghi di Giovanni Pascoli, quelli in cui il celebre poeta costruì il suo “nido” con la sorella Mariù, e di farlo proprio attraverso la poesia, con le “Liriche da Castelvecchio” di Matilde Estensi, edito da Aletti, nella collana “I Diamanti”. La poetessa, insegnante, ma anche pittrice, vive a Barga (in provincia di Lucca), a pochi chilometri dalla frazione di Castelvecchio Pascoli, in cui il poeta del “Fanciullino” soggiornò a lungo costruendo “quel nido che protegge dal mondo”.

L’autrice, spesso, ha visitato la casa di Pascoli, pregna di poesia e di “piccole e pur grandi cose”. Qui le emozioni palpitano una ad una. Diventano ricordi, dolori, ma anche calma e serenità con il profumo dei fiori e un alito di vento. «Nel giardino di casa Pascoli – racconta Matilde Estensi – si respira un’aria di poesia. La copertina stessa del libro, che ha come immagine la porta d’ingresso della casa del poeta, indica l’ingresso nel mondo della poesia ed il viaggio stesso della poesia verso nuove persone e territori».

“Liriche da Castelvecchio” è, dunque, un omaggio a Pascoli, a Castelvecchio Pascoli, alla Valle del Serchio, definita dal poeta stesso “la Valle del buono e del bello”. E’ un’opera che – scrive Alfredo Rapetti Mogol, figlio del noto paroliere, nella sua Prefazione – «si legge come una specie di piccolo Vangelo quotidiano che, pagina dopo pagina, ci monda dai peccati e ci riallinea con il nostro più intimo battito del cuore». E’ suddivisa in due sezioni: “Natura e luoghi”; “Persone e animali”. Con l’unico fil rouge che collega la vita umana all’ambiente circostante: mutano le stagioni, i mesi, i colori; e con loro, mutano gli stati d’animo, le sensazioni. Il vecchio – recita una lirica – cammina stanco, appoggiato al bastone dei ricordi. La sua memoria ha un lungo corso, confusa tra la nostalgia e l’andar dei giorni.

La scrittura diventa un quadro in cui è impressa la realtà, prima vissuta interiormente, poi rielaborata e trasformata in poesia. Per l’autrice, infatti, è stretto il legame tra pittura e poesia, suggellato, a volte, dalla presenza di brevi quadretti pittorici presenti nell’opera, che caratterizzano gli elementi stilistici insieme a versi brevi, che spesso terminano con rime baciate e figure retoriche. «La parola è colore e, a sua volta, il colore è parola. Mi piace rappresentare brevi immagini campestri, quasi bucoliche, flash per comunicare la travagliata vita esistenziale, un alternarsi tra luce e buio, vita e dolore, giorno e notte».

«Da bambina – racconta la poetessa – avevo sempre con me l’album da disegno, quaderni e libri, amavo disegnare e scrivere, già mi ponevo domande sul “perché delle cose” e nelle lunghe sere d’estate ero solita affacciarmi dalle piccole finestre della soffitta e ammirare i misteri del cielo. Credo che dentro di me c’era già un po’ di filosofia, di poesia, di pittura. La scrittura ha un ruolo importante, la considero una privilegiata forma di comunicazione. Per me la poesia è come un arcobaleno, un ponte tra uomo ed uomo (dimensione orizzontale) ed un ponte tra l’uomo e l’Assoluto (dimensione verticale). Poesia come àncora, salvezza per questa umanità malata di edonismo, nichilismo, materialismo».

E questo “essere”, la poetessa vuole trasmetterlo al lettore. «Voglio comunicare le mie emozioni, i miei stati d’animo, le mie riflessioni filosofico-poetiche, affinché le faccia proprie per una nuova rielaborazione personale».

Federica Grisolia

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