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Albidona, taglialegna muore sotto gli occhi della madre. La triste storia della fiumara

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Repertorio

La contrada Alicheto si trova nella parte più sperduta e più lontana del territorio di Albidona: è di fronte alla campagna di Plataci.  Quando la fiumara Saraceno che scende dai monti di Alessandria, era in piena travolgente, le povere famiglie di contadini che abitavano in quella terra rossa e pietrosa, temevano di essere trascinati verso il mare. Nonostante tutto, fino agli anni ’50 del secolo scorso, il Saraceno era quotidianamente frequentato dalle donne che si recavano a macinare il grano al mulino ad acqua di Chidichimo, dai mulattieri alessandrini che trasportavano merce da Trebisacce, e dai giovanissimi pastori che vi andavano ad abbeverare il bestiame. D’estate, io ed altri ragazzi di quella selvaggia contrada dell’Alicheto desideravamo il mare, ma  non potevamo raggiungerlo; e allora,  ci spogliavamo completamente nudi e ci buttavamo  nelle grandi fosse d’acqua che si raccoglieva dal torrente che scorreva ancora limpido e fresco: non c’era l’inquinamento delle fognature e dei rifiuti di oggi. Poi, ancora nudi come la lucertola, ci stendevamo sui grandi massi per asciugarci e per scherzare: non si poteva fare oscenità, perché  nessuno transitava per la fiumara in quelle ore di forte calura d’agosto.

[smartads]

Pure io ho pianto e bestemmiato in quella terra deserta; ora ci torno per fare le più belle escursioni a piedi o per raccogliere funghi. O per fotografare i ruderi dei vecchi mulini Scillone  e Chidichimo. Quei ragazzi che giocavano con me, lungo la fiumara e tra gli oleandri in fiore,  sono quasi tutti emigrati in Argentina, e qualcuno è morto ancora giovane; gli ultimi “terracciani”  che sfidavano la solitudine e la fame, riuscivano pure a coltivare ulivi, a seminare un po’ di grano e a raccogliere ghiande e lentisco per i porci. Mangiavano funghi, pere, fichi essiccati e uccellini presi nelle trappole di pietra (le chiàncole).

Ora, l’Alicheto è bosco spinoso e impenetrabile; le piccole masserie dei Pallone, dei Carìcio e di Pagòne sono crollate o coperte di roveti e vitalba. Eppure, il 3 novembre scorso, dopo aver fatto la visita al cimitero, una vecchia bracciante, quasi novantenne, si è ostinata a tornare nella sua terra del Saraceno.  Appena è giunta in quel deserto, ha riacquistato la forza di una volta e ha fatto pure qualche fascia di legna.  L’aveva accompagnata suo figlio Domenico, di circa cinquant’anni. Domenico, un uomo alto, e apparentemente forte, dopo una’amara esperienza di emigrante nel Milanese, e dopo il mortale incidente stradale in cui perse la vita la sua giovane moglie, è ritornato in paese per assistere la vecchia madre e per vivere con una nuova compagna straniera. Però, viaggiava tutti i giorni verso Cosenza, dove aveva trovato un po’ di lavoro.

Oggi, in campagna aveva portato anche una motosega; voleva abbattere una quercia, ma il cuore non gli ha retto ed’è cascato per terra. Per Domenico non c’è stato niente da fare: è spirato prima di raggiungere l’auto, davanti alla mamma disperata, che non sapeva cosa fare. Ma là c’era anche quel ragazzino venuto dall’estero, che fa la seconda elementare  e che lo chiamava papà. Il piccolo scolaro ha avuto il coraggio di prendere una bottiglia d’acqua per dissetarsi, e anche un piccone per difendersi da eventuali cani randagi o da qualche cinghiale. Si è fatto tutto il sentiero in salita e dopo due ore, è giunto sulla strada rotabile, stanco e sudato. Una giovane donna che era alla guida di una macchina ha capito che era accaduto qualcosa di grave; l’ha portato subito in paese, ed il povero Domenico, che si era avventurato in quella lontana terra della sua infanzia, è stato trasportato a casa, nella tarda serata. Ora, quel ragazzino venuto da una terra straniera, in cerca di affetto e di felicità, continua a raccontare questa triste storia della fiumara.

Giuseppe Rizzo

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