di Federica Grisolia – “Io non coloro le lacrime” vuole essere un monito a rimanere se stessi, non farsi prevaricare dalle mode, dalle persone, dagli stereotipi di questo tempo. E’ questo il cuore dell’opera di Giancarlo Frisoni, una raccolta di liriche edita da Aletti nella collana “I Diamanti della Poesia”. «Le lacrime – racconta l’autore che attualmente vive tra San Marino e Valliano (in provincia di Rimini) – sono una delle cose più vere, istintive e dignitose dell’uomo. Spesso si cerca di fuorviarle, giustificandole per sembrare più forti o diversi, mostrarsi meno fragili o deboli di quello che invece si è. Non coloriamole, non conta apparire, conta invece essere». Il lettore viene accompagnato lungo un viaggio fatto di racconti, pensieri, ricordi, dolori, amori, sensazioni, un mistero sospeso, un passato da decifrare. «La memoria è importante – spiega Frisoni – tocca a noi salvarla; il presente va invece raccontato perché non vada perduto. Il poeta è una spugna che assorbe tutto e tutto deve poi buttare fuori per esorcizzare il momento. Trovo nella poesia una forza sconosciuta che riverso in lei salvando ogni volta qualcosa, mentre lei mi libera dal pesante fardello».
La voce del poeta, infatti, riserva sempre nuove possibilità, e a volte i mutamenti stanno dentro le parole. «La realtà incide tanto perché è nervo vivo, è presente che si respira, che chiama a combattere ogni giorno. La forza della poesia aiuta ad affrontare questo, specie quando riesce a rendere onirico pure un sentimento avverso, un dolore, una ferita del pensiero. Io impasto tutto, cerco e trovo coraggio nel vedere il mondo com’è, con la coscienza di stare rinchiuso in ciò che volevo cambiare e che invece mi ha travolto». E’ quanto afferma Giancarlo Frisoni, «pittore, fotografo, scrittore di talento riconosciuto, che – scrive, nella Prefazione, Alessandro Quasimodo, autore, attore e regista teatrale, figlio del Premio Nobel Salvatore – dimostra nella sua raccolta poetica la capacità di destare in noi immagini e sentimenti che coinvolgono l’animo». La poesia diventa catartica per cogliere l’essenza più autentica dell’esistenza, attraverso parole messe a nudo, dentro un alone ritmico ed emotivo. «La poesia è aria – afferma Frisoni – è cibo, è l’elegia della parola. E’ concentrare la sfera delle emozioni in poche parole, a volte in una frase sola: l’essenza! Nelle mani della poesia le parole brillano di una luce diversa che assomiglia alle stelle, anche quando “il mal di vivere” rode lentamente». E’ qui che la scritta parola riveste un ruolo importante anche per attraversare i momenti più bui. «Il sapere di essere figlio di terra e sua preda, il cammino verso quel frantoio feroce che macina giorni su giorni e uno ad uno ci aspetta, ci chiama, ci prende. Noi siamo la vita e la morte, possiamo solo provare a lasciare un segno per non andare perduti».
Lo stile dell’autore (classe 1958), dai suoi quattordici anni, quando ha iniziato a scrivere, è stato influenzato dai poeti studiati a scuola, per poi cercare, crescendo, una sua dimensione, una personale impronta stilistica, cercando un equilibrio tra forma e contenuto, anche con l’utilizzo di metafore. «Quando ho in testa qualcosa, sono giorni di parole in transito. Cerco le più astruse, le più lontane, le più incompatibili». Per non rendere contraddittoria la sua lettura e non venga fuorviato il percepire, una caratteristica dell’autore è quella di non mettere mai titoli ai suoi testi (una regola riversata dalla pittura). «Al lettore – conclude Frisoni – spero di lasciare un dialogo interiore che solo attraverso la poesia si trova il coraggio di fare. Tutto cambia in base a tanti fattori: il proprio stato d’animo, la propria cultura, le proprie origini, la propria appartenenza. Le parole assumono significati profondamente diversi, ad ognuno deve arrivare il proprio».