di Federica Grisolia – “Omnia vincit amor” – dicevano i latini. Ma è davvero sempre così? E qual è la sfida più grande dell’amore? «L’amore vince ogni cosa, sì, ma il più delle volte non ce la fa con il granitico ego dei sapiens. Dovrebbe essere così, e talvolta lo è, ma più spesso domina in loro una forza viscerale che impedisce che questo accada. L’amore non riesce a vincere il suo ego debordante, narcisistico, che vede solo sé stesso, e sberleffa l’amore dono». Ne è convinto il poeta Silvio Anselmo che, nella sua opera “La sfida dell’Amore”, pubblicata nella collana “I Diamanti della Poesia” dell’Aletti editore, è riuscito a cogliere il multiforme manifestarsi di quel fondamentale aspetto della vita che è l’amore. L’autore, che a lungo ha svolto ininterrottamente l’attività di attore in teatro, cinema, radio, televisione e doppiaggio, e che vive a Roma, si sofferma sulla scelta del titolo. «L’amore è da sempre una sfida alla dominante egocentratura narcisistica (inconsciamente autodistruttiva), spesso camuffata, dominante nei sapiens, assetati di potere». Nelle liriche emerge quell’incessante movimento che si manifesta nella vita, attivato soprattutto tra le sue due fondamentali polarità: la vita e la morte, e i loro derivati, indispensabili perché si formi e si conservi attivo l’infinito processo vitale. Un conflitto che porta sofferenza, ma anche il fiorire della vita e la sua evoluzione.
Su questa dialettica insita nella realtà che si genera dallo scontro tra poli opposti, si sofferma, nella Prefazione, Alessandro Quasimodo, autore, attore e regista teatrale, figlio del Premio Nobel Salvatore Quasimodo. «Anselmo ritiene che bellezza, felicità, infinito debbano misurarsi coi rispettivi contrari. La fugacità dell’esistenza determina un valore aggiunto perché aumenta il gusto di sperimentare e conoscere. Lascia un messaggio di solidarietà e altruismo che l’umanità non vuole mettere in pratica. Secondo tale visione – aggiunge Quasimodo – Anselmo ribadisce che senza il superamento di un egocentrismo di fondo non si riesce ad amare autenticamente».
Nella sua Premessa, invece, il poeta – che ora si dedica a una intensa ricerca spirituale, seguendo principalmente i grandi insegnamenti della tradizione indiana: Yoga-Vedanta, Yogananda e, soprattutto, il Buddhismo Theravada – spiega come sia possibile stabilire un rapporto duraturo con la persona cara. L’analisi e la dinamica che contribuiscono a far maturare l’individuo sono condotte con lucidità e chiarezza. «Con queste poesie – spiega l’autore – cerco anche di capire un po’ di più quella sfuggente meta che, consapevoli o no, vibra nel profondo del nostro essere-sentire. Riuscire a sopraffare l’egoità narcisistica che vuole solo prendere e mai dare, che vede solo sé stessa. Riuscire ad accedere alla via del dono d’amore, trovando così modo di sfuggire a un karma sempre più autodistruttivo. Sviluppare la capacità di entrare nel profondo e portare luce, nei molteplici, sfuggenti, complessi processi che rendono la vita bella e dolorosa insieme, da amare e fuggire».
Perché la vita è, insieme, bellezza e sofferenza. «Dalla sofferenza nasce la bellezza infinita della vita, così come dalla bellezza nasce la sofferenza infinita della vita». I versi di Anselmo sono caratterizzati da una forma poetica sintetica, icastica, improntata, dunque, ad una notevole efficacia rappresentativa, insieme ad uno stile più rilassato e ragionato tipico del narrare prosastico. Con l’unico obiettivo di trasmettere al lettore un senso pieno di fiducia in tutto ciò che appare; di sentirlo nel cuore anche nei suoi aspetti contraddittori, tra esperienze dolorose e bellezza. Convinto che «il tempo non sia una vera realtà. Ma è già tutto ora, qua».