di Federica Grisolia – Una donna, una massaia, trasporta dei secchi d’acqua legati alle estremità di un fucile, che ricalca il significato del peso della sofferenza umana interiore di quando si sperimentano le battaglie verso noi stessi. Ma anche dalla sofferenza può nascere un valore aggiunto, qualcosa di positivo, ed ecco che dei fiori sbocciano dalle cartucce scoppiate, irrorati dall’acqua che trabocca dagli stessi secchi. E’ l’immagine illustrata nella copertina del libro “Canne di fucile”, scritto dal giovane autore Simone Borsi, e pubblicata nella collana “I Diamanti della Poesia” dell’Aletti editore. Ed è metafora dell’intera raccolta di poesie; un inno alla vita per trasmettere la forza di non abbandonarsi mai al corso degli eventi, a non gettare la spugna anche quando sembra tutto perduto e impossibile da recuperare. «Non sono dell’idea che si nasca per soffrire – racconta l’autore – ma credo che la sofferenza possa essere fonte inesauribile di ricchezza perché è proprio nei momenti più bui che si riscopre il valore della luce. Spesso nella mia poesia si fa riferimento a contrasti di luce/ombra a significare una stretta correlazione tra le due».
E se l’insegnamento arriva dalla penna di un giovane studente che ha vissuto il dramma della morte prematura della mamma, a causa di un incidente stradale, e l’esperienza dei reparti di psichiatria, allora assume un significato ancora più toccante e autentico. «Lì mancava davvero tutto, era un ambiente traboccante di grida e sedazione. Niente di peggio per vivere, niente di meglio per iniziare a vivere nuovamente con la poesia». Una vita segnata dalla sofferenza e una diagnosi di disturbo bipolare di tipo 1, che pesa come un macigno e che ora riesce a controllare grazie alla cura farmacologica, terapeutica e affettiva. Ma Simone Borsi, classe 1994, di quel macigno ha saputo liberarsi e ha saputo, addirittura, trasformarlo in una fonte di ispirazione, determinante nella visione spesso distorta e confusa della realtà, grazie alla scrittura che «riveste il ruolo della salvatrice, àncora solida e ferrea – afferma il poeta – su cui mi sono aggrappato. Spesso comunicare a voce risulta terribilmente difficile e sconveniente. Spero che un giorno la mia poesia possa arrivare a chi vive drammi personali simili ai miei e possa essere buona novella e fonte di ispirazione. La poesia è così: un continuo contagiarsi di idee, stili ed immagini. Cerco parole pulsanti, che possano vibrare producendo un eco interminabile».
Il filo conduttore dei versi è l’amore per sé stessi e per gli altri; se non ci fosse quello mancherebbe la vita. La famiglia e il senso di riconoscenza, di stima, che nutre verso i suoi cari, verso la sorella e la nonna, rifugio sicuro nelle intemperie della vita, fonte d’amore e maestra di vita, a cui Simone dedica molte poesie. «Il poeta Simone Borsi – scrive Hafez Haidar, più volte candidato al Premio Nobel per la Letteratura – compone poesie che scaturiscono dal cuore e dall’immaginazione e sono destinate a coloro che non hanno occhi per spiccare il volo nel magico mondo dei sogni, nel quale è possibile contemplare nuovi orizzonti e destini migliori, e a coloro che si sentono liberi figli dell’arte e hanno un cuore arlecchino. Le sue poesie hanno le ali per volare da un argomento all’altro, per spaziare oltre i confini del pensiero e dell’immaginazione».
Anche la scelta del titolo non è casuale. «Mio padre – spiega lo studente di Chimica e Tecnologia Farmaceutiche che vive a Valmorea (un piccolo comune in provincia di Como), con il padre e la nonna paterna – un giorno stava sistemando i fucili da caccia di mio nonno, aveva un fucile a doppia canna in mano e in quel momento ero, come spesso accade, intasato di turbe mentali dovute alla malattia. Allora ho pensato alle guerre emotive, quelle più difficili da combattere, quelle per cui non sempre esiste un’arma a nostro favore. E in questi casi un fucile serve a ben poco se il nemico è il tuo pensiero alterato». Le poesie che compongono la raccolta sono omogenee per stile e contenuti, nonostante siano state scritte in momenti molto diversi tra loro. Uno stile intuitivo, in quanto coglie della realtà lo stretto necessario per assaporarne i contenuti in maniera comunque esaustiva, caratterizzato da una metrica libera, con il minimo uso della punteggiatura. «Tutti noi sappiamo quanta differenza possa fare una virgola nel dare un senso compiuto ad un discorso; è per questo che io ve l’ho tolta, voi potete decidere, voi siete il senso che manca nelle mie poesie. Ecco, quindi, che il lettore assume significativamente un ruolo principe nella mia poetica».
E quando gli chiediamo di rivolgersi al lettore, Simone Borsi risponde così: «C’è stato un momento della mia vita in cui ho toccato i baratri della realtà ma non per questo mi sono lasciato sopraffare. Ho reagito, ho lottato con le mie e le forze di chi mi è stato vicino a sostenermi. Si può riuscire ad evadere anche dal carcere mentale più buio, basta volerlo. E per chi non riesce in questa impresa io dico: “urlate”. Fatevi sentire con tutta l’aria che avete in corpo e chiedete aiuto. Voi valete, ognuno di noi vale, solo che a volte siamo troppo ciechi per capire il senso di lettura della vita».