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Docufilm. “Un giorno con… Gianna Binda”. Nella rete della sua arte per elevare lo spirito

Docufilm. “Un giorno con… Gianna Binda”. Nella rete della sua arte per elevare lo spirito
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di Federica Grisolia – Immagini paesaggistiche, con un cielo azzurro, introducono il docufilm targato Aletti, “Un giorno con… Gianna Binda”, farmacista e tecnico di laboratorio, scrittrice con la passione per l’arte, nata a Veleso (provincia di Como) ma che attualmente vive e lavora in Svizzera. Un’artista a tutto tondo, non solo perché autrice di diversi romanzi, poesie e dipinti, ma proprio perché nella sua anima risiede la bellezza dell’arte, considerata come possibilità di elevazione alla spiritualità e alla parte più intima di se stessi. «In tutte le mie opere – spiega la stessa Binda – cerco di esprimere la mia anima, la mia essenza; cerco di entrare in contatto con il lettore e avendo avuto, purtroppo, un’esperienza dolorosa dopo un divorzio “predatorio” che ha coinvolto me e i miei figli, per tredici anni dopo la morte del mio ex marito, ho cercato di far affiorare la bellezza attraverso l’arte».

L’obiettivo è proprio quello di trasmettere note positive, anche nelle brutture, nel grigiore degli inganni, delle trappole. In una continua danza della vita, sempre sperimentale e in evoluzione, che andrebbe presa con leggerezza, nonostante i dispiaceri. E sullo sfondo, l’immagine del suo ultimo dipinto “La danza della vita”, che rappresenta una ballerina, simbolo di uno sguardo rivolto sempre verso l’alto, verso il futuro, verso qualcosa che potrà essere sicuramente migliore. Nel 2008, Gianna Binda scrive il suo primo romanzo “Volevo solo separarmi”; un’opera liberatoria ma soprattutto rivelatrice, pronta ad aprire gli occhi a chi potrebbe incorrere in trappole che, inevitabilmente, hanno poi pesanti ripercussioni economiche, ma soprattutto psicologiche, anche sui figli. Ma, soprattutto, un’opera in cui la protagonista arriva a chiedere la giustizia divina, poiché quella terrena, in questo mondo, le sembrava non esistere. E il senso della giustizia torna anche nella copertina del romanzo “Nemmeno di fronte all’evidenza dei fatti”. Nell’illustrazione, disegnata dall’autrice stessa, si vede una donna con i piatti della bilancia. Un modo per spingere il lettore a valutare con il proprio intelletto e le proprie capacità le situazioni della vita, poiché, a volte, viene portata come verità qualcosa che verità non è. Le parole di Gianna Binda, definita scrittrice della libertà e della speranza, diventano realtà attraverso le immagini che scorrono nel docufilm.

Dopo la narrativa, l’autrice trova libero sfogo nella poesia, molto più sinergica e stringata. Scrive, così, le raccolte “Versi di luce” e “Onde di emozioni”. Ma la parola scritta viene sempre illuminata dai colori dell’arte. Tra tutti, il blu, simbolo di purificazione che porta verso la nostra anima, libera e leggera. Questo colore prevale, infatti, nei dipinti che, come in un museo virtuale, vengono mostrati nelle immagini del docufilm, dove si susseguono diversi sfondi. Un gabbiano, le nuvole, il ritratto di suo padre, il cui ricordo riaffiora al suono di una chitarra durante la consegna di un premio. Un imprenditore (a capo di una ditta di reti metalliche) a cui la legava una forte sensibilità e a cui dedicò una poesia “Artisti insieme”. “Ora rimango ad ammirare i colori che stendevi su una tela di una vita che non ti ha saputo amare; della tua doppia elica ho ereditato il tratto, che ci vede abbracciati, all’arte, avvicinati, a chi vuol donare il suo seme per rendere il mondo migliore”. La vita è un percorso fatto di materia ma è necessario elevarsi alla propria essenza, al sé interiore, alla spiritualità. E questi sentieri vengono ripresi nelle scene, quasi a farli percorrere dallo spettatore, segnati da alberi in un bosco, finché un gabbiano non porta verso l’infinito, dove ciò che conta è solo il buono e l’essenziale. Percorsi che diventeranno, poi, innevati, a ostacoli, da dover percorrere con la guida di un esperto sciatore.

Da spirito libero, Gianna Binda si è avvicinata anche alla vita politica, e parla, così, dell’opera “Quel ramo del lago di Como… quello che ne resta”, «in cui – spiega – ho compreso le dinamiche subdole e sottili di una politica da cui mi sono allontanata». Diversi sono i temi affrontati nelle sue opere. La natura, che spesso, purtroppo, piange perché accomunata agli uomini che la contaminano; gli animali; ma soprattutto, emozioni e sentimenti scaturiti da spaccati di vita. Compare poi un’auto d’epoca, passione di Gianna Binda, poiché ricordo del passato e della storia.

Dall’esigenza di un mondo eticamente corretto nasce, invece, l’opera “La mia isola. Come vivere felici in un mondo senza denaro”. La copertina (una surfista che cavalca l’onda) è un olio su tavola, realizzata anche in questo caso dalla scrittrice, per esprimere l’idea di libertà a cui tende di continuo come fine ultimo. Si passa, poi, alla pagina della pandemia, dunque la fase del Covid, quando la scrittrice ha voluto dare sollievo ai bambini scrivendo delle favole e dei racconti raccolti, appunto, nell’opera “Favole e racconti per tutti”. Qui si alternano diverse opere pittoriche realizzate dalla Binda, che scorrono nel docufilm consentendo agli occhi di chi li guarda di tuffarsi nella sua arte ed emozionarsi. Una vita sempre in comunicazione con gli altri, nell’arte ma anche dietro al banco della farmacia.

Un’infanzia vissuta sul lago di Como, a contatto con la natura, le cui immagini evocano quegli anni felici, in un legame sempre acceso e vivido con il paese natale. E, poi, quel concetto della rete, che torna sempre nella sua vita. Grazie al mestiere di suo padre ma anche nel significato di rete universale, che sembra essere una matrice. “Donna in rete” e “Il mondo sospeso”, sono due delle opere che lo richiamano. «Il mio obiettivo – racconta Gianna Binda – è quello di donare qualcosa di unico e particolare attraverso l’unione dell’opera letteraria con quella pittorica. E questa unione bisogna che ci sia sempre, anche tra essere umani, come fratelli. Essere uniti è una grande gratificazione». Gli spettatori vengono poi attirati dalla voce di Alessandro Quasimodo che legge “Il colibrì e l’infinito”. “Sogno. Voglio vivere in un mondo uguale per tutti, senza barriere, né conflitti”. Quella di Gianna Binda si rivela quasi una missione: parlare delle cose meravigliose che esistono nel mondo, della bellezza del vero amore, quella che lei ha trovato nei suoi figli, nella loro gioia di vivere, in ogni persona che ha azzerato le difficoltà della sua vita. E, così, quelle “cicatrici di rabbia” possono diventare carezze che sfiorano il viso.

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