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“Il sorriso della fantasia”. Un romanzo di denuncia sociale contro le violenze sui bambini

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di Federica Grisolia – La violenza fisica o psichica, subita da tanti bambini e adolescenti, che traumatizza e segna per sempre una vita intera. E’ questo il tema dell’opera di Antonietta Dembech, affrontato con una profondità che coinvolge nella lettura, dal titolo “Il sorriso della fantasia”, pubblicato nella collana “I Diamanti della Narrativa” dell’Aletti editore. «Fantasia – spiega l’autrice, nata ad Orta Nova (Foggia), dove vive – è parola che significa sapienza, saggezza ed è qualità insita in tutti i bambini della terra. In tutti i bambini del mondo c’è il desiderio di sentir meglio la vita, d’immaginarla fantastica. Sempre, si lasciano portar via da questa esigenza. Con essa si ritrovano e si rinnovano ed è la relazione più bella che hanno con la vita. La sentono con ingenua chiarezza, l’affrontano con nobile ingenuità e la vivono come la sognano. Ciò dà loro gioia di vivere: una gioia inebriante d’amore, di calma, di lucentezza inesauribile, la più bella di quanto possa essere racchiusa in un sorriso».

In questo mondo, siamo tutti bambini che subiscono ingiustizie e violenza. In varie forme. In vari ambiti. E’ ciò che emerge, pagina dopo pagina, nel libro, in cui risulta evidente come ciascuno di noi sia un bambino la cui voce non viene ascoltata. Vittime di sfruttamento o abusi. Bambini di strada, figli della guerra. Vittime e orfani dell’Aids. A cui viene negata una buona scuola e una buona assistenza medica. E che ora devono ribellarsi a questa condizione. «In me sorge la mia voce umana, a recupero di una vera rinascita per tutti i bimbi, per i ragazzini ai quali è stato fatto e si fa del male. Il mio libro è la mia voce – sostiene Antonietta Dembech -. Il terrore sgomenta e fa tremare e, per quel che è nel mio sentire, ne ho piena la mente e l’animo. Ne scrivo nel mio romanzo e c’è stato un momento, un altro momento e tanti altri ancora, in cui ho pensato a quanta ingiustizia sono sottoposti piccini e ragazzi».

Corpicini sfregiati a causa delle guerre, costretti ad un sonno eterno dal nazismo, dallo stalinismo, da una malsana ambizione e, arrivando anche ai giorni nostri, colpiti dalla completa assenza di amore. La scrittura assume, così, un ruolo decisivo contro le ingiustizie e gli orrori della società, perché riesce ad esprimere bellezza e a dare voce a ciò che, solitamente, resta sopito e nascosto. Ne è convinta l’autrice, che parla di una scala di parole, pronte subito là, scritte riga dopo riga, a soluzione di un bisogno di figurarsi in un mondo migliore per i suoi nipotini. «Un mondo – racconta – che abbia la sua identità nella forza intima che solo l’amore può dare e che sia tale da far sì che ogni essere della terra abbia a conquistare la sua unità col mondo». Una scrittura frutto dell’istinto e della fantasia, strumento principale per raccogliere le idee, come suggerisce il titolo dell’opera ma anche l’immagine di copertina: un bambino sospeso tra le nubi, in un cielo azzurro, che tenta di afferrare un palloncino a forma di cuore. Paradossalmente, con un’unica difficoltà: «scrivere questo romanzo pur sapendo di non sapere come va fatto un romanzo». «Una vera gittata di dubbi mi veniva contro. Poi mi sono lasciata liberare da questo gran peso, perché la mia facoltà di mente, di pensieri, di sentimenti hanno avuto il sopravvento sicché io potessi gestire le mie idee».

E’ un mondo migliore quello che Antonietta Dembech vuole costruire con la sua penna. Un tenero paesino fatto di zucchero, dove i tanti bambini sfortunati, vittime di violenze di ogni tipo, possono gustare la dolcezza della natura. Un luogo dove farli esistere e respirare serenamente ed è vivo il senso di giustizia e onestà. «Se l’influsso che può esercitare la mia scrittura sul lettore – conclude l’autrice – ha il polo d’attrazione su ciò che succede di male ai piccini, si può dire che avrò raggiunto il mio scopo. Il mio romanzo è una denuncia, che ritengo essere l’unica strada per fare in modo che l’orrendo di un mondo maledetto raggiunga ad avere finalmente uno spirito nuovo, tale da non togliere i limiti al puro significato della vita».

 

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