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Tradizioni di Carnevale. “U n’caudarott” di San Lorenzo Bellizzi

Tradizioni di Carnevale. “U n’caudarott” di San Lorenzo Bellizzi
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di Francesco Agrelli – Il carnevale è una delle feste più presenti nel tessuto sociale italiano e estero, e antiche: l’etimologia è latina, e quella più accreditata è “carnem levare, “levare la carne”. Nella Roma Cristiana indicava l’ultimo banchetto, con trasgressioni e crollo di norme e classi sociali, del martedì grasso prima dell’astinenza quaresimale; in molti paesi calabresi il carnevale si conclude con la rappresentazione della morte, spesso violenta, di quest’ultimo, rappresentato con un fantoccio. Ma il carnevale affonda le sue radici nelle feste pagane: troviamo caratteristiche simili nelle Dionisiache greche e i Saturnali romani.

Ogni paese festeggia con tradizioni e maschere diverse. Qui ci occuperemo di “U n’caudarott” di San Lorenzo Bellizzi – sul Pollino ai confini con la Lucania – grazie anche a quanto ci ha raccontato Lorenzo Gugliotti, appassionato di storia locale (nell’immagine qui sotto un suo dipinto). L’ etimologia del nome è incerta, ma colpisce la vicinanza semantica e figurativa con “u cuadaròtte” di Gallicchio (Potenza), il cui dizionario dialettale informa essere il calderotto per produrre piccole forme di formaggio. Stesso risultato offre il “Nuovo dizionario Siciliano-Italiano” del 1838 di Vincenzo Mortillaro.

Il calderotto, per via della vicinanza con il fuoco, è spesso nero; stesso colore di cui è acconciato U n’caudarott di San Lorenzo Bellizzi che è rappresentato da un uomo in carne ed ossa. Il martedì grasso, per concedersi ai bagordi della festa, i contadini non lavoravano nei campi, ma c’era sempre qualcuno che non rispettava la consuetudine. Gli amici, quindi, lo sottraevano al lavoro, e lo avvolgevano in un mantello nero, così da non essere riconoscibile, per condurlo in groppa ad un asino in paese.

IL RITUALE – Una volta arrivati, i presenti si interrogavano sull’identità di U n’caudarott. Il gruppo si dirigeva presso l’abitazione del mascherato, e se la moglie lo avesse riconosciuto e fatto entrare, si sarebbe accomodata anche la compagnia per bere vino e mangiare salsicce e soppressate. Se questo non fosse accaduto, il corteo avrebbe fatto fare all’uomo altri tre giri attorno al quartiere. Se la donna riconosceva il consorte, allora la compagnia poteva mascherare un altro uomo, a cui sarebbe toccata la stessa sorte del precedente, e la festa tirava avanti sino al mattino tra cibo e suoni di strumenti tradizionali: organetti, tamburelli e bottiglie vuote suonate con una chiave di ferro. Ancora oggi a San Lorenzo Bellizzi è consuetudine, l’ultimo martedì del carnevale, portare per le vie del paese questa maschera misteriosa così remota da non avere più tracce delle sue origini ma radicata, ormai, nell’immaginario di generazioni di sanlorenzani.

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