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Il diario del Pollino. Albidona, il pastore che voleva passare il Natale in famiglia e morì sotto la neve

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Tra le tante informazioni che chiedevo ai pastori della transumanza, una riguardava anche le feste; le loro feste, cioè se avevano modo di recarsi alla festa patronale del proprio paese e soprattutto a Pasqua e a Natale. Il mio compaesano (di Albidona, ndr) Giuseppe Paladino, meglio conosciuto col soprannome di “Scepp’u Bielle”, che passò tutta la vita con le mandrie dei Chidichimo, mi rispose: “ma che feste !?

Il pastore aveva il permesso di recarsi in famiglia solo con la famosa quindicina, cioè, ogni 15 giorni, per prendere il pane e i vestiti di ricambio. A Natale e a Pasqua, ci mandavano un anno sì e un anno no. Noi pastori, la sera della vigilia di Natale ci riunivamo nella stessa capanna, accanto all’ovile, mangiavamo, ci facevamo pure un bicchiere di vino per stare un po’ allegri, e poi si suonava pure la zampogna. Però, anche a casa nostra si trascorreva un Natale poco allegro, specie per chi aveva moglie e figli piccoli. Loro lo passavano in paese, ma a tavola mancava sempre qualcuno”.

Giuseppe Paladino ricordava un altro fatto spiacevole: “Il figlio di ‘Ndriella, giovane pastore di 17 anni, aveva avuto il permesso di andare in paese per fare il Natale con la madre e i suoi fratelli più piccoli; il padre era morto. Quella sera faceva molto freddo, poi cominciò a nevicare; il figlio di ‘Ndriella, vestito  col caratteristico pellizzòne, riuscì ad avvicinarsi al paese; sentiva già la baldoria della festa, tutte le finestre erano illuminate, ma il vento e la tormenta di neve si fecero ancora più violenti e il povero pastore, che si era spinto fino alla cappella di San Rocco, venne sopraffatto dalla fortissima bufera; si accasciò per terra e  due giorni dopo, fu trovato morto sotto un gran cumulo di neve”. “Questa era in Natale di noi pastori”, diceva con tanta amarezza il vecchio Paladino.

Giuseppe Rizzo

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