“La sera della vigilia di Natale, anche il bestiame doveva mangiare bene, come fanno i cristiani che mangiano le nove cose. Ai cani, si dava un po’ latte e il pezzo di pane più grosso, alle capre e alle pecore lasciavamo grosse fasce di frasca di leccio; alle galline buttavamo grano e orzo; ai porci, ghiande e beverone di crusca; all’asino, alla mula e alla giumenta, una bella coffa di biada; ai buoi mettevamo più paglia, fave bollite e una fascetta di fieno. Poi, appena chiuse le porte della stalla e dell’ovile, ci avviavamo verso il paese, dove le nostre donne avevano già preparato i nove piatti di Natale !
Non potevamo restare a lungo vicino alle stalle, perché i buoi e gli altri animali, dopo essersi saziati col ricco cibo, incominciavano a parlare, come noi… cristiani! Ma nessuno li può ascoltare, perché se la potrebbe passare male. Una volta, un nostro giovane bovaro che si chiamava Francesco, volle fare il guappo, e invece di venire a mangiare in paese, restò nella masseria e ad ascoltare la messa di mezzanotte. Andò a spiare vicino ai buoi ! La mucca più grande, che si chiamava Rossanella, aprì la bocca e disse agli altri buoi: – consumate tutto ciò che è rimasto nella mangiatoia, perché domani mattina saremo aggiogati al carro per portare al cimitero il nostro guardiano Francesco”.
La mattina dopo, il padrone della masseria tornò in campagna e vide che il suo bovaro Francesco era morto davvero: era disteso proprio dinanzi alla porta della stalla dei buoi !”.
Giuseppe Rizzo