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La festa di San Leone a Saracena, religione e storia popolare

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La tradizione si rinnova a Saracena con la festa di San Leone, che animerà il borgo del Pollino tra musica, “fucarazzi” e identità cultura. Una cerimonia religiosa ma anche un vero e proprio rito antropologico che domenica (19 febbraio) entrerà nel vivo, alle ore 18, con la processione e il saluto dei fedeli al Santo Patrono. Poi l’accensione del grande Falò dell’Accoglienza per dare il benvenuto a residenti e visitatori che durante tutta la notte affolleranno le strade e i vicoli del paese, riscaldati ed animati dai “fucarazzi”, intorno ai quali si ritrovano parenti e amici. In piazza, inoltre, balli popolari, degustazione di piatti, stand gastronomici. I festeggiamenti termineranno lunedì (20), giorno dedicato al Santo Vescovo, che sarà omaggiato con tre funzioni religiose. Le due Sante Messe, al mattino, alle ore 9 e alle ore 11, e nel pomeriggio la celebrazione solenne alle ore 18.

SANLEONE2013 (1)«La festa di San Leone a Saracena è, senza dubbio, una delle più belle e intense, complesse e avvincenti che si svolgono nei mesi invernali in Calabria e nel Mezzogiorno d’Italia». È così per Vito Teti, professore di Antropologia Culturale presso il dipartimento di Studi Umanistici dell’Università della Calabria, che affida suggestioni, atmosfere e tutto il fascino di un rito ancestrale che resiste nel tempo, al saggio “La Festa di San Leone a Saracena/Schegge di umiltà.

SANLEONE2013 (4)«Evviva S. Leone»… L’invocazione augurale – scrive Teti per l’edizione 2016 della festa – era trascinata, urlata, ripetuta da centinaia di persone, in tempi e in modi diversi, nel mezzo di salti, girotondi, danze, comportamenti e gesti che evocavano antichi riti di possessione e di guarigione. Il rientro in chiesa e la sistemazione della statua del santo sull’altare maggiore era, come avrei verificato negli anni successivi, il momento più intenso e problematico: le persone di tutte le età si spingevano l’altare tra urla, spinte, balli, invocazioni. Dopo un lento e lungo addio al Santo, i fedeli uscivano a gruppi e alla spicciolata e andavano verso le loro case, in bassi e i vicoli trasformati in enormi cucine e trattorie aperte e all’aperto attorno agli enormi falò che, accesi al passaggio della statua, venivano alimentate con cataste di legna. (..)».

Federica Grisolia

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