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Siamo ad Alessandria del Carretto. «Il paese del crai e del piscrai», nel ricordo dei vecchi mulattieri

Siamo ad Alessandria del Carretto. «Il paese del crai e del piscrai», nel ricordo dei vecchi mulattieri
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La nostra storia la raccontano non solo gli uomini ma anche i luoghi, gli oggetti, le vecchie case, le chiese. Pina Basile, storica e anche poetessa, inizia un suo libro, col rimpianto di un grande albero scomparso: “C’era una volta un olmo, che troneggiava maestoso in piazza Municipio”. Poi, ricorda pure i maestri Vincenzo Celestino e Domenico Bloise, e i verdulieri Sinisari Giuseppe e Leonardo che venivano col mulo carico di peperoni e di altri ortaggi. E’ stato recuperato il documentario I dimenticati che Vittorio De Seta ha girato nel ’59, in Alessandria, dove il regista è ritornato, ormai vecchio, nell’estate del 2009: il maestro De Seta ha fatto sapere all’Italia che c’era un paese dove non era ancora arrivata la strada, ma ha ripreso pure la festa della Pita. Su di essa, ormai, sono usciti altri documentari e tantissime fotografie.

Il Padula, che ha poche notizie su questo paese, lo definisce “sito montuoso e salubre; una volta, si chiamava Torricella nel 1648 e si trova nella diocesi di Anglona-Tursi. I terreni sono sterili e petrosi, si produce non altro che avena e pascoli”; però, il Padula forse non sa dei funghi misciaruòli e dice che “qui, i tartufi sono copiosi ed ottimi”. Si mantengono bene le cappelle di San Vincenzo e di San Rocco, ma un’altra è sorta in mezzo alla verde acereta, sotto il monte Sparviere; l’ha voluta Pina Basile. Ma la storia e le tradizioni di fede popolare sono racchiuse nella chiesa Madre dedicata al protettore Sant’Alessandro martire, che sarebbe stato segato dentro il tronco di un grosso abete. Accenniamo anche alle feste religiose: oltre a Sant’Alessandro, si venerano, Sant’Antonio di Padova, San Vincenzo Ferreri, San Francesco di Paola e la Madonna del Carmine. Ci sono pure due feste “profane” molto seguite: le maschere d’i Puhecenelle biell e brutt e il festival internazionale di Radicazioni, dove partecipano anche suonatori e cantanti stranieri. Ottima la gastronomia locale: il formaggio, il salame, la soppressata col pepe nero, il prosciutto che un prete buongustaio chiamava “u sahàte russ”. Ma sono rinomati soprattutto i funghi misciaruoli, il vino, le varietà di dolci e gli ottimi taralli, chiamati scavedatièllë. Figure indimenticabili del mondo del lavoro, i contadini, i pastori, gli artigiani (bravi muratori a facc vista) e i mulattieri che attraversavano la fiumara Saraceno per Trebisacce e per i boschi del Pollino, San Lorenzo Bellizzi, Civita e Castrovillari. Trasportavano barili di vino, sale e altri articoli di commercio.

Bella tradizione quella dei suoni e dei canti popolari: ormai noti il gruppo della Totarella, il costruttore di zampogna Sandro Brunacci, il costruttore di organetto Matteo Fasanella e Peppino Brunacci. Bellissime le suonate di surdulina di Paolo’i Sciàfare e di Francesco Rusciano. Il falegname Peppino Brunacci costruisce anche le maschere d’i Puhecenelle. Bene ha fatto il prof. Leonardo Alario a documentare i canti popolari, con le voci di Filomena Alfano, Concetta Basile, Lucrezia Chidichimo, Domenico Adduci, Francesco Veneziano, Vincenzo Adduci, Carmela La Rocca, Angela Rago, Rosina Napoli, Filomena Covelli, Filomena Brunacci, Felice Covelli. Interessanti anche gli stornelli e le canzoncine dedicate a Santa Lucia e alla Madonna del Carmine. Recuperati anche i canti della Settimana santa. Per i tanti racconti sul Brigantaggio trovi qualche notizia sul libro di Gino Bloise, ma dei briganti Antonio Franco, Giovanni Labanca, e Scepp’u Cuciniere ce ne siamo occupati anche nel libro sulla banda di Antonio Franco. Piero Caccialupi, il grande medico romano, che qui veniva a caccia, nel suo libro Fra le braccia di Diana parla anche del dialetto: «questo è il paese del crai, piscrai (domani e dopo domani, ndr)». Ma la sua descrizione più seria è quella del morto trasportato in paese: “in un giorno di neve, uomini e donne vestite di nero portavano un morto sdraiato sulla barella”. Il personaggio più famoso di Alessandria resta Pacchiocchio, nato povero e morto poverissimo: i suoi motti sferzanti li indirizzava soprattutto a certi signori del paese. Chi vuole farsi una faticosa ma interessante escursione, per riscoprire altre storie del popolo, visiti i resti dei mulini ad acqua: Mulino del prete (Cinchi-cient), o di Scimicco, mulino di Gilorma o di Viggiano, (con i morti del 1896. Il poeta Giuseppe Mundo ha scritto una “leggenda” su questo grave infortunio sul lavoro). Infine, il mulino Bassano o mulinello, il mulino Farina. In questi mulini ad acqua c’era anche u paraturo per la produzione del pannetto. In paese, funzionava il mulino “a fuoco” di Peppino Mitidieri, cognato di Andrea Croccia.

I Chidichimo e il prete “i Cinchë-cient” usavano tenere le nivère i cui lastroni di ghiaccio, chiusi nei sacchi di tela e caricati sui muli arrivavano fino ai negozi di bibite di Trebisacce. Erano forniti di buona e abbondante roba i negozi d’u Brigant, di Romeo e dei Mundo. Nelle cantine si beveva molto vino, si giocava a morra e a carte, e qualche volta si improvvisava anche qualche buona scazzottata. Le macellerie sono state numerose fino al 1960-70. Numerosi i bravi artigiani: muratori, calzolai, sarti, falegnami e fabbri (gli Angiò) e anche i barbieri. Bisogna aggiungere i Rocciatori e il Gruppo Speleologico “Sparviere”. La Centrale elettrica, collocata in un canale sotto lo Sparviere, resta pure un ricordo storico. Quando altri paesi vicini erano ancora al buio, la piccola Alessandria aveva la sua luce elettrica! Ora, ci rinfreschiamo alle fontane dello Sparviere prima di raggiungere Cerchiara, Francavillla, Villapiana e i paesi italo-albanesi.

Giuseppe Rizzo

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rita tagliati
rita tagliati
6 anni fa

Alessandria del Carretto è la meta di passeggiate generose di cultura e di natura. L’ho visitata la prima volta dopo aver visto il documentario di De Seta e, nonostante l’arrivo del progresso, ho respirato tuttavia la lontananza. Una positiva lontananza da ciò che potrebbe inquinare quest’angolo bello. Una positiva lontananza capace di preservare senza rovinare niente. Una positiva lontananza capace di alimentare i cervelli: l’invenzione di Radicazioni, lo studio delle tradizioni della prof. Basile, il paese tenuto molto bene, le iniziative culturali, il museo del lupo. E i molti nativi trasferitisi per lavoro, che tornano appena possibile, magari nella loro stessa casa di famiglia, nell’orto, nella campagnetta.
Ho conosciuto anche alcuni degli artigiani nominati: il falegname Brunacci, i costruttori di organetti, fisarmoniche e cornamuse….
Alessandria ha capito che per guardare al futuro bisogna valorizzare il passato.
Peccato per la strada che frana troppo spesso e d’inverno rende difficili i collegamenti. Ma stare lì, anche solo poche ore, rinfranca la mente e il corpo. (e che buoni i panini con i salumi locali!)