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“Allons enfants…”. Da Oriolo un appello ai calabresi. Svegliamoci!

“Allons enfants…”. Da Oriolo un appello ai calabresi. Svegliamoci!
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di Rocco Abate – “…unitevi, non avete che da perdere le vostre catene!” aveva detto quel tale, che riteneva che le lotte per le conquiste sociali, per la difesa delle libertà democratiche, per il riconoscimento dei diritti civili e del lavoro, potessero trovare solo dall’unione degli individui, la forza necessaria per imporsi e così contrastare i soprusi. Molti di noi, giovani negli anni ’70 del Novecento, sulla lunga scia di quel monito marxiano del secolo precedente, a quelle lotte hanno partecipato; alcuni hanno vinto, altri hanno pagato anche con la vita. Assai coinvolgente (e anche appagante) era la convinzione di farlo per la causa di tutti, per un bene superiore che è l’interesse comune, raccogliendo in tal modo, anche l’incitamento gramsciano a combattere l’indifferenza, che “…è abulia, parassitismo, vigliaccheria (…) che è il peso morto della storia”, come la descriveva il pensatore italiano più letto e studiato nel mondo. Ma va aggiunto che l’indifferenza è anche un suicidio sociale collettivo, più o meno consapevole. Per rimanere nel tema, Edgar Morin, il 101enne filosofo francese, ancora nel 2022 ha pubblicato il suo ennesimo “urlo” contro l’assenza di individui pensanti di fronte alla sfida globale rappresentata da tutti i degradi, ambientale, economico, morale, culturale, che strangolano la società contemporanea; il titolo è inequivocabile: “SVEGLIAMOCI!”

Ormai sono anni, e precisamente dai primi anni ’80, che un processo di “normalizzazione” è stato avviato, e che oggi dà i suoi frutti peggiori. Le politiche neoliberiste inaugurate in quella stagione nell’Inghilterra della Thatcher, nell’America di Reagan, furono presto importate in Italia dal craxismo, per miopia, per provincialismo, per premiare i potenti, presentandole come processi ineluttabili, ma anche come ventata di irresistibile “modernità”, contro uno sciocco rivendicazionismo  di una residuale sinistra (la sconfitta al referendum contro il taglio alla scala mobile, fu l’inizio del collasso finale), ancora legata ai valori della Carta Costituzionale…”roba vecchia!” (chissà perché le povertà sono sempre fastidiose, e anche una colpa imperdonabile di chi le patisce: non sono bastate a contrastarle, le parole di Francesco d’Assisi, ieri, né quelle di Francesco Bergoglio, oggi).

Molti di noi, i pericoli derivanti dalle privatizzazioni dei servizi essenziali, li hanno subito avvertiti, ma intanto, il vento della storia soffiava in un’altra direzione. Sempre in quegli anni, un altro fenomeno di modernità ancor più accattivante s’avanzava, era la televisione commerciale di Berlusconi, e l’effetto sulle masse non più organizzate, fu tombale. Anche quella importata dall’America (v. “La società dello spettacolo” di Guy Debord). Gli si fecero subito ponti d’oro (una risorsa italiana, disse il puntuale D’Alema) con concessioni di frequenze (come le concessioni balneari odierne) che offendono il decoro nella gestione della “cosa pubblica”. Non importa che quelle televisioni andassero in concorrenza col servizio di informazione dello Stato (la RAI), pagato dai/e al servizio dei/ cittadini, anzi, l’apparente paradosso (se non era già un disegno preciso) fu che quest’ultima, anziché differenziarsi per tipo di proposta culturale, spingendo la concorrenza verso l’alto, non esitò a regredire, per qualità di offerta e dei contenuti, portandosi, così, ai livelli più bassi, imposti dal suo competitore in affari.

Chi non ricorda quei cruciali quesiti, circa quanti fagioli fossero contenuti in un barattolo, e i milioni di Italiani che ci “babbiàvano” davanti, per giornate intere? Da tutto ciò cosa possiamo dedurre, circa la consapevolezza di ogni cittadino intorno al dibattito sulle imperscrutabili politiche attuate, che hanno deciso e decidono del suo personale destino? Non ha forse radici nell’appiattimento culturale di quella brutta stagione, il livello di astensionismo di oggi che ormai, regolarmente, si registra nelle chiamate alle urne? E se tutto questo si pensa che sia il diabolico disegno di una parte politica – delle destre per intenderci, più vicine al mondo degli affari e del mercato – si è in clamoroso errore, perché se non ci fosse stata la complicità pelosa di una sinistra smarrita e rinunciataria, ma più spesso imperdonabilmente contigua con quel mondo, tutto ciò non sarebbe mai avvenuto (attori principali: D’Alema, Veltroni, Occhetto, Fassino, Bindi, Fioroni… e infine Renzi, e si oscurò il cielo (!) mentre Berlinguer, appena morto, dal giorno dopo, è stato ammazzato ancora, tutti i giorni da allora.

Ultimo, non ultimo, l’evento storico per eccellenza: la caduta del muro di Berlino, nel 1989. Fu l’occasione formidabile che si pensava dovesse davvero porre fine a ogni larvale ipotesi di guerra freddo/calda in Europa e tra l’Europa e il resto del mondo. Si è sperato finalmente in una pacificazione, in un mondo libero, ma non fu così. Il capitalismo occidentale, caduto il pur già fragile e declinante comunismo sovietico percepito come ostacolo, ormai poteva espandere senza limiti i suoi tentacoli ovunque. Non c’è Governo di qualsivoglia Nazione che abbia potere interdittivo nei confronti del suo cannibalismo senza freni, che è alla base di diseguaglianze, di povertà diffuse sul pianeta Terra, di sfruttamento miope delle risorse, di ingiustizie sociali, di conflitti geopolitici e quant’altro. Considerazioni che hanno fatto dire a papa Woytila, protagonista tenace nella lotta al comunismo sovietico, che il capitalismo messo a nudo dopo quegli eventi, fosse ancora peggiore del comunismo, definendolo L’“Impero di Mammona”, affamatore dei poveri, devastatore della fede.

Ecco, quest’ampia premessa mi è servita per dire, se non fosse già clamorosamente evidente, che le “rivoluzioni”, certo pacifiche, le uniche possibili, non possono, oggi men che mai, prescindere dalla presa di coscienza di ognuno di noi. Sono quarant’anni a dir poco, che i partiti hanno abdicato al ruolo che gli è proprio, di rappresentanza delle istanze che salgono dal popolo minuto, preferendo a ciò, quello di sostegno ai poteri più strutturati, come quelli della finanza, degli affari, delle banche, del mercato (perché quelli si arrabbiano molto se non serviti, mentre i subalterni – senza “parola” e senza megafono -, piuttosto, rifluiscono nell’apatia, per senso di impotenza e rassegnazione). Si sono chiuse le sezioni, luoghi insostituibili di confronto, di condivisione, acquisizione di consapevolezza delle problematiche collettive. Si sono chiusi i giornali di partito, che facevano in/formazione, appartenenza e motivavano la militanza. Ma ci credono davvero, o fanno finta, che i social possano sostituire quel brivido e la forza generati dalla partecipazione per una battaglia giusta, sviluppata, fianco a fianco, nelle assemblee o in una piazza?

No, l’occupazione privilegiata dei partiti è soprattutto quella delle lotte fratricide per posizionamenti interni in funzioni correntizie, dimenticando il perché del loro esistere, e non accorgendosi che intanto, all’esterno, il mondo crolla. E in quel “mondo” i problemi sono una montagna: ambiente (paesaggio e territorio), riscaldamento globale, transizione ecologica, dai quali dipende il futuro stesso dell’umanità, da un lato; povertà, precarietà, servizi alle persone, qualità e rapporti contrattuali e sicurezza nel lavoro, dall’altro; e ancora: istruzione/formazione (la scuola, sempre più umiliata), giovani e loro futuro (fuggono all’estero per non morire), mobilità sul territorio, ricerca da togliere alla speculazione del mercato, sanità! sanità! sanità pubblica (è stomachevole lo spettacolo degli avvoltoi  che banchettano sulla pelle degli ammalati), sottrazioni di risorse alla tutela dei beni essenziali e corsa agli armamenti con spese milionarie per servire ingordigie di dominio che vanno ben oltre e al di là delle sbandierate rivendicazioni territoriali, buone solo per la disinformazione attiva dei TG unificati, l’uno fotocopia dell’altro. Rendiamoci conto che siamo gestiti dal “Grande Fratello”; l’informazione è impacchettata, perlopiù, da chi gestisce l’“Ufficio Propaganda” al servizio, mai dei più deboli!

Sono quarant’anni che cambiano i governi, ma non le politiche e, i sempre meno che votano, danno la preferenza a chi urla di più, e sperano. Salvo ricredersi subito dopo. L’ultimo pallone di stracci, nell’ordine, è la Meloni…vedremo dove andrà a cadere, e poi? Abbiamo anche voluto immaginare che i politici, di fronte al dato avvilente della diserzione delle urne, avessero un moto di vergogna e invertissero la rotta. Niente di ciò, fino a farci nutrire il sospetto che per loro, meno siamo e meglio stanno. E, anzi, da tutto questo, le Regioni, per esempio (sempre più impopolari, e per il governo delle quali, ormai, si esprimono minoranze umilianti, dato, invece,  che dovrebbe, anche alla luce della scandalosa gestione pandemica, indurre qualcuno a riflettere circa l’opportunità o meno di mantenerle in vita come sono), anziché ammutolire, danno mandato al cinico Calderoli di turno, che con offensiva iattanza promuove la cosiddetta Autonomia differenziata (prospettiva nefasta) e rivendica per loro poteri maggiori, in un disegno strategico a trazione nordista, e pace se mezza Italia, si stacca e, possibilmente con moto uguale e contrario, si va a saldare col Continente africano, che raggiungerà le nostre coste, prima che “arrivi” il ponte sullo Stretto.

Ecco perché tocca al popolo, alla gente comune, a tutti noi, uscire dall’ “assenteismo sociale” e ritrovare il sano spirito della partecipazione e della militanza. I partiti, chissà, forse così si accorgeranno che qualcosa si muove. Si stanno muovendo in milioni in Francia, si sono mossi in centinaia di migliaia in Spagna, si svegliano le piazze di Israele, per una nuova primavere, con David Grossman (il più grande scrittore israeliano) che parla a quel vasto popolo che lo ascolta e denuncia la, non oltre tollerabile, arroganza del governo di Netanyahu. Ecco, adesso rovesciamo il cannocchiale e guardiamo in piccolo, il piccolissimo che siamo noi: Barbara Gabotto, Giacomo Guidetti, Vincenzo Conese e il sottoscritto, quattro cittadini qualunque, ma informati e sufficientemente incazzati contro questo mondo “storto”, il primo aprile scorso eravamo nella vasta piazza del Duomo di Milano a riempirne una buona porzione con alcune migliaia di altre persone come noi, ad ascoltare Associazioni, Collettivi, Esperti, Operatori del settore, Organizzazioni sindacali, Volontari…nessun politico.

Fra tanti oratori importantissimi, un nome per tutti, quello di Silvio Garattini, 94 anni, ancora un leone (!), un testimone di verità per caratura morale e competenza, era lì a scandire con parole severe, forti e chiare, tutta la sua indignazione verso la “politica” della peggiore speculazione in campo farmacologico, sull’abdicazione della ricerca pubblica per non disturbar le manovre di Big Pharma, a spese della collettività,  e sulla mala gestione della SANITA’ PUBBLICA, per la quale invoca l’allerta rossa di tutti noi, perché dallo stato di avanzata agonia, non si passi alla morte sicura per la quale, questo Governo, sull’esempio dei precedenti e peggio, sta lavorando con scientifico impegno.

Ho scritto pensando a tutti i “marginali del regno” come me, al Sud, alla Calabria, all’ Alto Ionio, alla Comunità di Oriolo che ho nel cuore.

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