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Venti anni dalla protesta di Scanzano contro sito scorie nucleari. Il racconto del cronista che per primo diede la notizia

Venti anni dalla protesta di Scanzano contro sito scorie nucleari. Il racconto del cronista che per primo diede la notizia
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Riportiamo il racconto della protesta a Scanzano contro la relizzazione di un sito di stoccaggio di scorie nucleari. Vincenzo Diego, già vicesindaco di Oriolo, oggi giornalista pubblicista, fu il primo cronista a dare la notizia circa questa reale minaccia per il territorio, poi scongiurata con la forza dell’unione, della protesta civile e del dialogo. In queste ore ricorrono i venti anni (2003-2023) dalla protesta di Scanzano, uno tra i maggiori successi di battaglie civili che questo territorio consegna alla storia, con il suo modello che sicuramente potrebbe essere preso ad esempio per altri disagi e disservizi che l’Alto Jonio vive quotidianamente. Ma a guardarsi attorno oggi, il 2003 sembra una vita fa (Vincenzo La Camera)

di Vincenzo Diego – Siamo nel 2003, metà novembre, Silvio Berlusconi è Primo Ministro di un Paese segnato da trasformazioni e contraddizioni. In uno dei Consigli dei ministri si decide di costruire il sito di stoccaggio di scorie nucleari a Scanzano Jonico,  in provincia di Matera, una cittadina sorta dopo la riforma fondiaria. In quei giorni, in quelle stesse ore, l’intera Nazione  piangeva i caduti di Nassiriya. Il Decreto legge passò senza tanti clamori, io lo venni a sapere in anteprima grazie a una telefonata da Roma. Le voci nei giorni precedenti erano tante, confuse, contraddittorie, per questa ragione servivano riscontri. La notizia era di quelle che non passano inosservate, una vera “bomba” che poteva scoppiare da un momento all’altro. Grazie ad alcuni importanti contatti, l’indiscrezione mi venne confermata. Non bisognava perdere tempo. Comunicai la decisione del governo al direttore del quotidiano “La Provincia Cosentina”, giornale con cui collaboravo in qualità di cronista, chiedendogli di scrivere un pezzo, anche se a prima vista la decisione riguardava la Basilicata, il provvedimento ci coinvolgeva da vicino: Rocca Imperiale e dunque l’Alto Jonio cosentino e la Calabria erano a due passi dalla frazione di  “Terzo Cavone”, l’area  individuata dai tecnici. Dopo il colloquio, misi giù la cornetta, in attesa di comunicazioni dalla redazione.  Non passò molto tempo, e la suoneria del telefono di casa iniziò a suonare, dall’altra parte del filo il Direttore mi dava il via libera. Fummo i primi, il giorno dopo, in prima pagina, a darne conto ai lettori, i quotidiani nazionali arrivarono ore più tardi. Dopo aver chiuso con la redazione, bisognava correre contro il tempo. Cercai subito Mario Melfi, da sempre impegnato in politica, nella difesa dei lavoratori e dell’ambiente, lo conoscevo bene da anni, e dunque poteva essere una voce autorevole e preziosa. Provai a contattarlo telefonicamente più volte, all’epoca occupava un posto di primo piano come Capogruppo della “Margherita” alla Provincia di Cosenza. I primi tentativi fallirono, ma non mi stancai, le dita sui numeri del telefono continuarono a comporre, sino a trovare la linea libera, ma soprattutto la voce di Melfi dall’altra parte del cavo. Senza giri di parole, dopo un breve saluto, gli comunicai quello che a Roma avevano deciso. L’incredulità era evidente, si capiva a distanza, mi chiese più volte se fossi sicuro, risposi di sì, purtroppo era tutto vero, e da lì a poco sarebbe entrata nelle case degli italiani e in modo particolare nelle case delle famiglie lucane, calabresi e pugliesi. Gli chiesi un’intervista, accettò subito, senza pensarci due volte. Volevo conoscere il suo pensiero  e soprattutto cosa avrebbe fatto e detto alla pubblica opinione cosentina e calabrese tra gli scranni dell’antica sede del governatore della Calabria Citra che ospitò Giuseppe Garibaldi mentre si prestava a raggiungere Napoli e mettere fine al Regno borbonico. Melfi non si perse in rivoli di parole, fu diretto e chiaro, come sempre del resto: condannò la decisione, che definì preoccupante, in grado di causare un “disastro ambientale ed economico”, impegnandosi a  “inserire la questione alla prossima seduta del Consiglio provinciale”. Era consapevole che bisognava fare di tutto per impedire un danno irreparabile al territorio, ancora con una ferita aperta per una serie di problemi  che anni prima avevano coinvolto l’ex centro di ricerca nucleare, ubicato nella località Trisaia del comune di Rotondella (MT),  ma da sindacalista e politico navigato capì subito che la partita bisognava giocarsela coinvolgendo le organizzazioni sociali, economiche, produttive,  gli studenti e soprattutto  i cittadini. A quattr’occhi, qualche ora dopo, parlammo della nostra gente che rischiava di essere mortificata, il turismo e altre attività vitali per il delicato tessuto sociale, economico e paesaggistico, rischiavano di essere cancellate per sempre. Sudori, emozioni e i tanti sacrifici dei nostri padri, nello scorrere inesorabile del tempo, compromessi da una decisione che non teneva conto delle peculiarità del territorio, non teneva conto di secoli di storia, di tradizioni, di culture, non rispettava quel mare cristallino, le coste, le colline, i monti  che videro nascere e prosperare  alcuni popoli che contribuirono a fare grande l’Italia e l’Occidente. In quei giorni, grazie anche all’impegno di Mario Melfi, il mio personale, dividendomi tra articoli e delibere comunali, rivestivo la carica di vicesindaco di Oriolo, la mobilitazione fu immediata e ben organizzata. Mi preme ricordare, giusto e doveroso farlo, il lavoro instancabile e prezioso di alcuni giornalisti calabresi e lucani come Mariapaola Vergallito.

Altrettanto utile e prezioso fu l’impegno delle Misericordie, con alla guida Vincenzo Liguori, dei giovani studenti, delle associazioni. Grazie anche all’impegno di migliaia di calabresi, le strade si bloccarono per giorni, donne e uomini di tutti i ceti non chiusero né gli occhi, né la bocca, un sussulto, un’energia positiva prese per mano giovani e meno giovani. A Montegiordano marina si organizzò la base operativa dei comuni dell’Alto Jonio: mensa, ambulanze, supporto logistico, sicurezza e altro ancora furono determinanti in quei lunghi e sofferti momenti di lotta.  Il presidente della Provincia di Cosenza, Antonio Acri, sposò con convinzione la causa, e  altrettanto fecero i sindaci e gli amministratori. Gli anziani, poi, segnati dalle  rughe e dal tempo, stupirono tutti, divennero, attraverso la loro saggezza, forza e determinazione, capi popolo, i veri punti di riferimento di una battaglia sociale e di civiltà che bisognava assolutamente vincere. E fu così che migliaia di voci, più di centomila, si ribellarono al secolare silenzio;  di colpo il velo fitto che da troppo tempo teneva prigionieri donne, uomini, storie e  vite di sacrifici, si andava man mano squarciando, si stava scrivendo in quelle ore , in quei giorni, con il contributo di tutti, una pagina importante di storia. Un pezzo di Meridione entrava prepotentemente e con sempre più consapevolezza nelle case degli italiani, lo faceva con una sola voce, lo faceva chiedendo rispetto e libertà di decidere. Quella  notizia che all’iniziò portò sconforto e dolore, alla fine ci unì, ci fece artefici e strumenti di un unico destino, riscoprimmo l’entusiasmo del vicinato e quel luogo, che doveva diventare “cimitero di scorie”, divenne un campo di battaglia di resilienza e di civiltà, dove le vite si mescolavano, mentre le tende sui prati o tra il fango per lunghi giorni si trasformarono in case, dove si pensava, si scriveva, si suonava, si mangiava,  si progettava con passione e convinzione la storia di tutti, toccando nel profondo menti e cuori. Poi, dopo notti e giorni sotto le stelle, la pioggia e la luce del sole d’inverno, il governo capitolò, segnando la vittoria dei lucani, dei calabresi, dei pugliesi e di tanti altri cittadini provenienti da altre regioni italiane. Con la sola forza dell’unità e del dialogo, riuscimmo, così, a cambiare per sempre il nostro futuro e il nostro destino.

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