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San Paolo Albanese. Il teatro di Ulderico Pesce racconta la storia di Elisa Claps

San Paolo Albanese. Il teatro di Ulderico Pesce racconta la storia di Elisa Claps
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di Vincenzo Diego – Con Ulderico Pesce e il sindaco Mosè Antonio Troiano, ci si siede davanti a un bar, indecisi se sorseggiare un cappuccino caldo o qualcos’altro. Il caldo, anche a San Paolo Albanese, fa sul serio, l’afa asfissiante non dà tregua. Ulderico Pesce, come sempre, è misurato nei movimenti, come nel parlare. Una gestualità da meridionale che ti mette a proprio agio. Parla, racconta, lo fa da uomo e da attore, lo fa tra anime, carne e sangue, ascolta storie di sentimenti e di speranze. Pesce da sempre denuncia e racconta un’esistenza divisa tra il bene e il male. Definito dalla critica italiana “l’esponente di spicco della nuova generazione dei narratori teatrali italiani”. A San Paolo Albanese (Pz), il paese più piccolo della Basilicata, davanti la chiesa dell’Esaltazione della Santa Croce, una chiesa di rito greco-bizantino, ricca di effetti cromatici e simbolismi, ha raccontato la storia di Elisa (“I sandali di Elisa Claps”), la ragazza di 16 anni che venne uccisa da Danilo Restivo nel sottotetto della chiesa della Trinità di Potenza. Elisa Claps, studentessa di 16 anni di Potenza, scomparve il 12 settembre 1993 dopo essere uscita per andare a messa proprio nella chiesa della Trinità. Aveva detto al fratello che sarebbe tornata per pranzo. L’ultima persona conosciuta ad averla vista è stato Danilo Restivo, un ventunenne che si era trasferito da bambino in Basilicata con la famiglia. Il caso Claps fu a lungo un giallo rompicapo, risolto solo 17 anni dopo, quando, il 17 marzo 2010, il cadavere di Elisa fu ritrovato proprio nel sottotetto di quella chiesa. Il suo corpo rimase abbandonato e nascosto proprio lì dove fu compiuto l’omicidio, , con la complicità, evidente, di molti. I fatti sono narrati da Antonio, il padre di Elisa, tabaccaio di Potenza, persona semplice che amava coltivare e proteggere rose profumate. Un uomo che, nella lunga ricerca della verità sulla sorte della figlia, perse qualsiasi tipo di fiducia nei confronti della magistratura e nei confronti della chiesa. Antonio rimase chiuso nel suo dolore che lo fece ammalare e lo uccise. Uno spettacolo potente e necessario che riapre una delle vicende più amare e controverse della storia del nostro Paese.

La mano omicida – hanno concluso gli inquirenti – fu quella di uno spasimante respinto da Elisa, Danilo Restivo, col vizietto di tagliare ciocche di capelli alle ragazze. Negli anni, la società civile ha fatto sentire la propria voce. Un grido di denuncia, ma forte anche la richiesta di riscatto, una voce robusta che ha chiesto dal primo giorno verità e giustizia. Tra queste voci, quella di Ulderico Pesce, attore, autore, regista, che ha portato nelle piazze, sulle scene, le tante maschere di una certa umanità malata, ambigua e simulatrice, cresciuta nel vizio e nell’inganno, nemica di quella umanità semplice, legata alla famiglia e alle tradizioni, dove il viso asciutto, pulito, incorniciato dal sole, non conosce l’inganno. L’apparenza, in tante case, come quella di Elisa, non è mai  travestita. La faccia è la faccia, ha lo stesso valore di una stretta di mano, sincera, capace di segnare patti di vita. Un lavoro dove si scava affondo nelle vicende umane, sin nelle viscere più profonde, che tanto ricorda lo Scotellaro dei calanchi, degli scialli neri, dei visi segnati dal lavoro e dalle miserie della “vita”. In questa storia, come in altre, il sangue scorre nelle vene, a tratti freddo come il sudore. La madre piange la figlia: la propria casa è in lutto, i capelli gonfi e lucenti, le nenie raccontano storie di speranze, storie di vita, storie maledette. Pesce non si dà pace, è un’anima in pena, un menestrello che parla di giustizia, mentre tra le sedie, tra il pubblico corre, corre forte, come se volesse salvare qualcuno, poi sale i gradini della chiesa, si ferma, fogli bianchi in mano, guarda i visi, illuminati dai lampioni e tra questi cerca verità, giustizia e conforto.

Il suono di sottofondo della fisarmonica del giovane Camodeca, aiuta il racconto tragico e appassionato. L’attore prende fiato, ma non si trattiene e  scende ancora tra la gente, commossa, come l’attore. E poi le grida, i lamenti, la testa tra le mani, davanti a facce incredule, rosse di stupore e di vergogna. Voci spezzate dalla disperazione, cuori stanchi che continuano a battere, depistaggi, protezioni, giochi di potere di famiglie potenti, tra complicità infinite, colpevoli silenzi, morti sospette. Mentre giovani donne continuano a morire con le ciocche dei propri capelli strette tra le mani. Una certa umanità spoglia, misera, abita un sottotetto, una luce fievole illumina un cranio di ragazzina e le sue povere cose, gli occhiali, il maglioncino bianco, i sandali. Un luogo dove vita e morte si tengono per mano. Sotto, il corpo di Cristo viene inchiodato ancora e ancora una volta, il suo sangue ribolle sulle tavole della croce. L’uomo senza vergogna, occhi bassi, fuggente, si abbandona al peccato, mentre fuori, il silenzio, pesante, uccide… Altri: madri, padri, fratelli, sorelle, camminano sulle strade del mondo con la morte nel cuore, mentre un delicato e intenso profumo di rose e di fiori, ricorda la purezza di Elisa, vittima di una mano assassina e del silenzio.

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